(Questa è la mia primissima recesione che ho scritto, e che avevo già sviluppato nel lontano 2 Ottobre 2011. Quindi, per pura correttezza, riporto la recensione così come l'avevo finita, da principiante e bimbominkiosa, senza apportare nessuna modifica. Spero che vi piaccia)

Prima di cominciare ad analizzare il disco, torniamo un attimo indietro nel tempo.

Era il gennaio del 1990, Stati Uniti. Il movimento dell'hair/glam metal oramai era ad un passo dal baratro, si godeva i suoi ultimi momenti di gloria grazie a band come gli Whitesnake, Skid Row, Slaughter, Cinderella, Poison, ecc. Questo movimento musicale sarebbe stato poi soppiantato in breve con l'esplosione del fenomeno grunge (così lo definirono i giornalisti), rappresentati da gruppi del calibro di Nirvana, Soundgarden, Alice In Chains, Stone Temple Pilots e Pearl Jam.

Nel bel mezzo di questi due fenomeni, però, c'era un altro genere musicale che non se la passava altrettanto bene. Infatti, dagli inizi degli anni 80, il southern rock, o come mi piace chiamarlo nella sua traduzione, rock sudista accusava un deciso calo di qualità e di popolarità. I Lynyrd Skynyrd si erano sciolti già dal 1977 (per la morte di Ronnie Van Zant e parte della band, in un incidente aereo), stessa sorte era toccata agli Eagles e agli Allman Brothers Band. Malgrado ciò, riuscirono ancora a sopravvivere band come ZZ Top, Molly Hatchet, .38 Special e Grateful Dead, grazie alle modifiche apportate al loro sound per adattarsi alla moda del momento, e riuscire a vendere ancora qualcosa. Per alcuni questo cambiamento si rivelerà una scelta ottimale, sia per il successo di critica che per la effettiva qualità musicale e artistica ("Eliminator" degli ZZ Top ne è il più chiaro esempio).

E' in questo contesto che si fanno avanti i Corvi Neri di Atlanta, guidati dai fratelli Chris e Rich Robinson, che accettarono la sfida di far rivivere il rock sudista, il VERO rock sudista, e rivitaizzare l'antico e goliardico spirito del rock 'n' roll, ispirandosi ai loro eroi d'infanzia: Rolling Stones, Buddy Guy, Otis Redding e Humble Pie.

Quello che i Black Crowes ci propongono con il loro album di debutto che è anche il loro maggior successo, Shake Your Money Maker, è un rock essenziale, grezzo, duro, tuttavia di facile ascolto per chiunque. Ma sopratutto è d'impatto, ti entra in testa e non ti esce più tanto facilmente. La discreta traccia iniziale Twice as Hard fa subito capire all'ascoltatore a cosa si trova di fronte, e quest'album non potrebbe aprire meglio di così. Proseguendo con l'ascolto ci imbattiamo in vari pezzi rocciosi e farciti di blues come Jealous Again, Stare It Cold e la cover soul appunto di Otis Redding Hard to Handle, qui riproposta con stile quasi Lynyrd Skynyrdiano con un risultato molto piacevole anche ad orecchie abituate a tutt'altri generi. Sarà proprio questa cover che porterà abbondante fama ai corvi neri per essere quindi considerati una delle migliori rock band della prima metà degli anni 90. Andando avanti possiamo gustarci veri e propri pezzi blues sudisti, ossia Sister Luck e She Talks To Angels, quest'ultima un'altro anthem nei concerti e nella discografia della band. A completare un album già più che eccellente, intervengono il simpatico e ritmico rock 'n' roll di Thick N' Thin, e la dura e rozza Struttin' Blues, con un riff di chitarra che richiama immediatamente i leggendari padroni australiani dello sporco hard rock AC/DC.

Concludendo, sono pochi quegli album musicali, rock e non, che riescono ad entrarmi anche nel cuore oltreché nel cervello. Shake Your Money Maker è uno di questi. Quest'album segna davvero la rinascita di un genere che era nato con Free Bird e Sweet Home Alabama dei Lynyrd e che sembrava morto e sepolto con la dipartita di Van Zant. Un album da straconsigliare a tutti gli amanti del rock, ed anche agli ascoltatori più metallosi, sperando che non siano i soliti "trvE".

VOTO = 95 / 100

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