La prima parte della decade dei '70 è stata per il Southern Rock il periodo storico più intensamente prolifico (quello che aveva nei Lynyrd Skynyrd e nella The Allman Brothers Band le vere punte di diamante ...), lasciando alle band protagoniste (tra 38 Special, Charlie Daniels Band ed Outlaws ce ne è per tutti i gusti) della seconda parte della decade, il merito di trasformare e personalizzare le radici di un suono volutamente debitore al rock inglese ed al blues bianco che nella terra di Albione aveva trovato terreno fertile tra la metà dei '60 e la fine dello stesso decennio. Gli anni '80 (per molti insensati e privi di novità per il genere) hanno trovato una numerosa schiera di band (tra cui una maggior risonanza spetta ai Molly Hatchet ma anche alla Rossington Collins Band e Stillwater e volendo mostrarsi di larghe vedute perché non considerare anche Blackfoot) che sono riuscite a non far calare l'interesse per un suono così naturalmente grezzo ed orgogliosamente simboleggiato dallo sventolamento della Rebel Flag.

Forse però è l'ultimo scorcio del secondo millennio, a rappresentare in contemporanea una rinacita e crescita del rock del sud in grado di tornare a far brillare la sua stella come meritava ,anche attraverso (e come non ci si aspettava - quasi - più) i The Black Crowes. La band era capitanata dai fratelli Chris e Rich Robinson che cresciuti a suon di vinili di Rolling Stones ed Humble Pie tra gli altri e con un grande amore per i seventies, riescono a dar vita ad una bruciante miscela sonora che trova nel riff nudo e crudo l'arma vincente di un folgorante sound di insieme.

Con il sorgere del 1990 viene dato coraggiosamente alle stampe "Shake Your Money Maker", il primo e coraggioso passo discografico della band di Atlanta. La musica che ne esce è di grande impatto, un riuscito tentativo di riportare in auge le origini di cui il rock'n'roll si è sempre nutrito. E se "Twice As Hard" mostra anche qualche velleità zeppelliniana, "Thick n' Thin" sembra essere figlia di ripetuti ascolti a quell'"Exile on Main Street" a cui ogni buon rocker ricorre quando ha voglia di ritornare a far riscaldare il proprio sangue. All'apparente boogie di "Could I've Been so Blind" a cui riesce bene il ruolo di brano di mezzo, segue la compostezza blues di "Seeing Things", mentre l'impeto ed il riff di "Struttin' Blues" richiamano all'unisono la robustezza dei fratelly Young.

Non parliamo assolutamente di semplici replicanti trascinati da un'incontenibile voglia di revival, qui la classe c'è tutta e la si percepisce ad orecchio nudo. L'amore per i miti con cui i fratelli Robinson sono cresciuti, sono stati assorbiti e rielaborati secondo un gusto moderno con il DNA originario ben presente in tutti i brani. Un cammino finalizzato a distinguere un processo creativo ben lontano da una prevedibile operazione nostalgia, risultando lampante con la graffiante "Jealous Again" (scelta non a caso come primo singolo), ma anche con la carezzevole "She Talks to Angels" in grado di trascinare anche l'ascoltatore più distratto in un seducente universo di piacere, nel quale è possibile spingersi solo attraverso la buona musica mai assente neanche nel doveroso omaggio al compianto Otis Redding con la riproposizione di una riuscita versione di "Hard to Handle".

Quarantacinque minuti ad alto potere calorifico che si nutre in prevalenza dell'abc musicale generato durante quelle due magiche decadi (anni '60 e '70 se qualcuno avesse ancora dei dubbi) che ad oggi si sono rivelate essere le più sperimentali e le più creative per tutto il rock venuto dopo. Cinque freaks americani in grado di affacciarsi al mondo discografico con una release onesta e magari non perfetta, ma capace di omaggiare caldamente il passato dimostrando di essere figlia del suo tempo, dove il suono lascia al cuore prendere il posto dello spartito.

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