Disco interessante, questo “Two Shoes”.

Opera seconda per la band australiana dal nome quanto mai singolare, datato 2005 ed interamente registrato agli Egrem Studios dell’Havana (sì, quelli di Compay Segundo e “Buena Vista Social Club”), l’album è valso ai sei artisti di Melbourne un doppio disco di platino in madrepatria e ha permesso il definitivo lancio sulla scena musicale Europea e mondiale.

“Two Shoes” è un lavoretto davvero valido, un bel cocktail di reggae, hip-hop, jazz, ska e ritmi cubani, un mix di influenze e generi diversi che si amalgamano perfettamente senza alcuna sbavatura, senza il minimo senso di disarmonia, di stonatura.

Ma il pregio più grande di quest’album è un altro: l’allegra vitalità che lo permea, coinvolgente al massimo, capace di far dimenticare qualsiasi problema o preoccupazione per 58 minuti e 50 secondi, e vaffanculo alla scuola, allo studio, allo sport, alla gente imbecille, ai mille impegni per cui 24 ore sono appena sufficienti, vaffanculo a tutto, almeno per quest’oretta.

E allora via, mi ci butto a pesce, e vai con “In My Pocket” e il suo nanananananaaaa, o la divertente “The Car Song”, la title track “Two Shoes”, e mi ritrovo a ballare sui ritmi latinoamericani di “Sol Y Sombra”, a saltellare sui ritornelli ciarlando zip-a-dee-doo (ascoltare per credere) in“Protons, Neutrons, Electrons” e poi piroetto sullo ska frizzante di “Saltwater”, fino ad arrivare a“The Night That Never Ends”, l’ultimo brano, meno male, avrei potuto restarci secca.

Eccola qui, la mia pausa l’ho fatta, ho staccato la spina, ho fregato l’esaurimento nervoso per l’ennesima volta, ma ora basta, devo riprendere tutto ciò che ho mandato a quel paese un’ora fa.

E la coerenza? Ma sì, ‘fanculo anche a lei, solo per oggi.

[Curiosità: beccatevi il logo della band, carino anche quello.]

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