Il dado è finalmente tratto.

Due anni fa il sottoscritto ed il collega JonatanCoe avevano in progetto di scrivere insieme una recensione che si occupasse dell'album Gold Afternoon Fix degli autraliani The Church. La collaborazione scrittoria, soprattutto per causa mia, fu poi accantonata, messa da parte. D'improvviso pochi giorni orsono ci siamo risentiti e questa volta il tutto è andato a buon fine. E questo è il risultato.

Sono usciti alla grandissima i Church dagli anni ottanta; un disco, Starfish, che finalmente ha ripagato la band, dopo anni di gavetta e non molta considerazione, soprattutto a livello di vendite e di conoscenza planetaria. Dopo qualche mese di riposo al termine del tour promozionale gli australiani sono pronti per ripartire, per dare un degno seguito al capolavoro precedente. Ci riusciranno anche se il risultato finale di Gold Afternoon Fix non sarà ai livelli stratosferici di Starfish.

Steve Kilbey ha sempre affermato di non amare troppo il loro primo lavoro degli anni novanta; i motivi sono da ricercarsi nella sua dipendenza del periodo dall'eroina e dalla scelta della casa discografica di produzione. Infatti la label Arista vuole andare sul sicuro, vuole ripetere i generosi fasti ed i consistenti introiti di Starfish; ed è per questo motivo che la cabina di regia viene affidata ancora a Waddy Watchel, mentre la band aveva addirittura pensato di far intervenire un certo John Paul Jones. Durante la messa in nastro delle canzoni Steve si dimostra ancora una volta il padre-padrone dei Church; la tensione sale di livello, fino ad esplodere nella prima defezione importante nella storia del gruppo. Infatti il batterista Richard Ploog di punto in bianco molla i compagni, saluta gli esterefatti colleghi ed abbandona la Chiesa. Il suo drumming si farà sentire soltanto in tre brani del lavoro,mentre nei restanti otto addirittura si farà intervenire una drum-machine. A mio parere Gold Afternoon Fix non risente di queste negatività perchè è un prodotto validissimo; da quattro stelle dal punto di vista Debaseriano. A cominciare dalla bellissima copertina (come rimpiango quelle acconciature così ottantiane...!!): fotografie, immagini dei quattro componenti che si vanno ad unire a sfondi della loro immaginifica terra.

L'introduttiva "Pharaoh" sembra un'appendice di Starfish, l'undicesima traccia dopo "Hotel Womb", quella che riduce due anni di distanza tra i due lavori a soli tre secondi di pausa. La voce di Kilbey è la stessa con la sua disarmante malinconia, mentre le chitarre ti dilaniano accarezzandoti. Fascinose ballate elettriche, dirette come "Metropolis" ed "Russian Autumn Heart" donano una frizzante vivacità alquanto insolita, apprezzabile anche in "Terra Nova Cain" che viaggia decisa ed a tratti vagamente mistica nelle sue fluttuazioni spaziali ("Terra Nova, ho bisogno di te ancora, proteggimi dalla pioggia di meteoriti ..."), costantemente alla ricerca di protezione e conforto, alla ricostruzione di un mondo perduto (o di un amore perso?). Dello stesso tenore sono "Essence", una manuale esposizione di precetti rock che oggi sembrano dimenticati, "Fading Away" con le sue perplessità teologiche e "City" che, alla pari di "Laughing", scorre senza troppe pretese in una dolce ballata pop priva di particolari sussulti ma con la stessa accorata lirica che scandaglia le dinamiche esistenziali, severa e grigia come un lunedì ("Monday Morning").

Il disco mantiene una costante tensione emotiva, non concedendo alcun tentennamento o flessione, sia nelle parti strumentali dove Koppes e Willson-Piper con le loro chitarre ricamano le vesti sonore con sartoriale abilità, che nei testi ricchi di spunti di riflessione e di citazioni/omaggi a letterati come Oscar Wilde in "You're Still Beautiful" (singolare assonanza con "How Beautiful You Are" dei Cure dedicata anch'essa ad un scrittore, in questo caso Baudelaire). "Transient", una cavalcata con reminiscenze della stupenda "North, South, East And West" del precedente album, è un'altra deliziosa gemma incastonata in questo sorprendente disco per metà brioso, ma privo di rilevanti scossoni e con una continua, sottile linea d'inquietudine e per metà essenziale e intimistico; sensazione acutizzata nella parte dove i suoni e la produzione si fanno sempre più levigati, a tratti eterei come "Disappointment" e la conclusiva "Grind".

Le liriche ed il sound di Gold Afternoon Fix , un rock-pop pulitissimo (forse anche troppo) curato nei minimi particolari tracciano, come in tutti i dischi dei Church, i confini geografici della loro Australia, correndo lungo i deserti e le cattedrali nel deserto di quest'angolo di mondo così lontano e affascinante.
Le vendite purtroppo non accontentarono la casa discografica e questo sancì l'inizio del declino che portò nel 1994, dopo la collaborazione per Priest = Aura, ad una inevitabile separazione. I Church, malgrado piccoli incidenti di percorso (nel 2013 Marty Willson-Piper ha lasciato la band), continuano ad essere assiduamente prolifici con uno standard qualitativo come pochi nonostante, sia chiaro, quell'appeal dei decenni 80 e 90 non potrà più materializzarsi. Ogni fase della vita contempla un periodo magico ed il loro è sempre lì, nello stesso posto, negli scaffali di un negozio di dischi, nelle selezioni di una programma radiofonico notturno, in un auto col finestrino semiaperto tra la pioggia scrosciante, nella cameretta che ieri era nostra, sul fronte di una musicassetta, scritto con penna indelebile ed una passione adolescenziale,un giorno che non ricordi, forse in un "dorato pomeriggio".

Ad Maiora.

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