Company of Snakes non sono altro che buona parte dei vecchi, originari Whitesnake senza più il divo David Coverdale. Cambia niente, perché il giovanotto arruolato come frontman al suo posto ne è un pedissequo discepolo, assai meno narciso se non altro.

L’album è valido, perché la coppia di chitarristi brutti ma bravi formata dai veterani Mick Moody e Bernie Marsden la sa lunga su come confezionare ed eseguire del purissimo british blues rock, consistente tematicamente e scevro di facezie e paraculismi americani.

Passata la stagione ottantiana del class rock, pop metal o come in altro modo lo si possa chiamare, genere e tramontata durategli anni novanta pure la fissa per il grunge, è piacevole scivolare di nuovo negli anni settanta ascoltando opere come questa, pubblicata nel 2002 ma con trent’anni già sul groppone in quanto a stile, ispirazione e capisaldi da seguire.

Tali princìpi da seguire sono quelli di un rock blues asciutto e deciso, ornato da assoli di chitarra e cori solo quando ve n’è bisogno, piuttosto dedito alla coesione intelligente e dinamica fra due chitarre di eguale importanza intente ad alternarsi, armonizzarsi, diversificarsi e poi unirsi, secondo la vecchia scuola iniziata dai Rolling Stones e da qualche altro sin dagli anni sessanta.

Le idee ci sono, i riff funzionano, non vi sono pose e smorfie a disturbare, c’è solo sostanza chiaramente in una situazione retrò. E regna una sufficiente varietà di ritmi e atmosfere, chiaramente circoscritta al genere d’elezione.

Ayresome Park”, dedicata a un vecchio stadio britannico, apre e chiude l’album ed è uno strumentale del solo Moody su di un’arcaica chitarra acustica, accordata in tonalità “aperta”; “Ride, Ride, Ride… ecc.” è per contro un boogie reso trascinante dagli inserti di chitarra slide.

La canzone che offre il titolo all’album è un rock blues che alterna parti claustrofobiche strette intorno al riff ad altre di ampio respiro, tramite aperture in arpeggio e intriganti contro cori, il tutto spinto in avanti da un pulsante basso. E’ grande rock melodico, quasi epico. “Sacrificial Feelings” tende verso il Dirigibile; senza inventarsi niente di difficile Marsden e Moody celebrano l’hard rock nella sua forma più godibile, pur appoggiandosi ad indubbi stereotipi.

Little Miss Happiness” ha qualcosa dei vecchi Rolling Stones o al limite dei Faces, o magari dei Creedence Clearwater Revival anche se il cantante s’inventa una vocalità definibile come “Roy Orbison con potenza”, pensa te. Il torrido rock’n’roll “Kinda Wish You Would” è mezzo Whitesnake e mezzo Lynyrd Skynyrd, strasentito se si vuole ma bene organizzato. Più anonimo l’altro r’n’r (malgrado il titolo) “Back to the Blues”. Stesse sensazioni di riempitivo mi rilascia l’infuocato hard rock “All Dressed Up”.

Le immancabili ballate, robuste e melodiche insieme, s’intitolano “Hurricane” e “Days to Remember”. La prima tende verso i Wishbone Ash, grazie a tutto quell’armonizzare di chitarre e di voci. La seconda è assai più made in USA, strascicata e lirica, scolastica nelle strofe e poi più sorprendente e personale nel ponte e nei ritornelli, in virtù di una bella sequenza di accordi, di inaspettati cambi di tonalità e dulcis in fundo di un fantastico assoletto delle twin guitars.

La cadenzata “Can’t Go Back”, a cercarle dei parenti, mi fa tornare in mente la Bad Company; la voce è completamente diversa ma l’atteggiamento rock è quello. Infine tornano un tantino i Led Zeppelin con “She” (il folk acustico mischiato all’hard spietato).

Ogni volta che me lo ascolto, questo disco mi fa pensare che dovrei prenderlo in considerazione più spesso, il che è un ottimo segno.

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