Mi capita molto più spesso di non quanto vorrei che le persone si trovino sorprese nel sentirmi dire che ho una grande passione per la musica degli anni ’80. Forse per via del fatto che da una persona così giovane, un adulto che negli anni ’80 ci è cresciuto, non si aspetterebbe di sentirselo dire, o forse semplicemente perché non va più di moda appassionarsi alla cultura di quel periodo.
Parte di questa cultura sono sicuramente i The Cure, gruppo di cui mi sono innamorata al primo ascolto e di cui è stato recentemente pubblicato l’ultimo album, “Songs Of A Lost World”.
Quando verso settembre è stata annunciata l’uscita del primo singolo “Alone” in prima battuta mi sono sentita incredibilmente entusiasta, per un attimo ho pensato di poter colmare quella nostalgia per un’epoca che non ho mai vissuto e che è tutto sommato così distante da me.
Eppure, con enorme dispiacere, ho realizzato che questo album non era quello che mi aspettavo.
Mi sembra inutile ribadire che naturalmente ho considerato che nella discografia di una band vi sono delle evoluzioni (e devono esserci, altrimenti pensa che noia), a livello musicale, personale, di formazione, e chi più ne ha più ne metta. Eppure per qualche motivo ho come l’impressione che in questa evoluzione dei Cure, qualcosa sia andato storto. Ma andiamo per parti.
Vi lascio qui le mie suggestioni sull’album, abbozzate proprio durante l’ascolto di traccia per traccia - per questo mi rendo conto che l’uso del linguaggio in certi punti è discutibile e le frasi sono frettolose, ma non ho voluto sistemarle perché avrebbero perso l’autenticità della prima impressione.
So che per molti saranno delle osservazioni controverse e ho come la sensazione che altrettanti
mi diranno che di musica non ci capisco nulla. Forse è vero, forse è un album che comprenderò
meglio più avanti, ma per ora la mia opinione rimane questa.
- Alone
L’intro è lunga, nulla di nuovo nella storia del gruppo, quasi disperata, sonorità insolitamente limpida per i Cure. Ha un’accezione più moderna, abbandona la sonorità degli anni ’80 tendente al goth. Sono canzoni impeccabili tecnicamente, complessivamente non so se per ora mi piace.
2. And Nothing Is Forever
Il synth anni ’90 mi fa cascare le p*lle, sinceramente. Il chitarrone sporco e grattato sotto forse salva un po’ la situazione, ma di base è un lento. Non è un genere che apprezzo particolarmente, lo trovo noioso, lamentoso. Si sa che i Cure hanno fatto anche quello e che i gruppi hanno bisogno di rimodernarsi ed evolversi, ma complessivamente finora non ho ancora sentito una scintilla accendersi. Forse sono troppo legata alla nostalgia di un periodo che non ho vissuto?
3. A Fragile Thing
Le pianole sotto non mi piacciono, ma la linea di basso recupera. C’è da dire che la voce di Smith non si perde nonostante l’età. Questa canzone mi piace già di più, mi ricorda di più quello che effettivamente loro sono stati come gruppo. La cosa che mi turba di più rispetto a quello che sento è che mi sembrano tutte ballad degli anni ’90, paiono tutte molto simili, non ne ho ancora sentita una che mi abbia fatto pensare “wow, questi sono i Cure e sono tornati in bomba”.
4. Warsong
L’intro mi fa pensare che questo sarà un gran bel pezzo. Ha un qualcosa che mi fa pensare quasi a un seguito di “Lullaby”, forse per il pizzicato degli archi. La chitarra ha un suono distorto, potente. Questa canzone - finalmente - mi piace abbastanza, è drammatica, colpisce.
Finora in quest’album mi sembra che comunque alla parte strumentale sia stato dato un ruolo molto centrale - anche questa non è una novità per questo gruppo, ma qui lo è in particolare modo e soprattutto diversamente, come se voce e strumentale fossero quasi due parti che devono restare separate.
5. Drone:Nodrone
Parte bella pesante. Chitarrone sporco, sempre sta pianola del c***o sotto che a me proprio non piace. Anche questa carina, meglio delle prime. A favore di questo album si può dire che la parte musicale sembra più ricercata sotto certi aspetti, forse però perché in qualche modo esce dalle corde dei The Cure. Mi ricorda un po’ i Muse a livello di sonorità per certi versi, mentre l’assolo di chitarra è molto più rock classicone. I synth sotto non sono male, anche questi richiamano un pochino la sonorità new wave degli anni ’80. Non mi piace per nulla come finisce, interruzione troppo brusca. Peccato, insieme a “Warsong” forse era la canzone che per ora mi stava piacendo di più.
6. I Can Never Say Goodbye
Niente oh, con ste tastiere non ce la possiamo fare. Ok, è gusto personale, ma mi sembra un modo molto cheap di evocare la sensazione di tristezza o nostalgia. Peccato, comunque il resto della base non è male, anche se devo dire che mi sembra parecchio ridondante come sonorità. Questa cosa l’ho già sentita nelle ultime tre canzoni, e per tanti altri aspetti invece anche a partire dalla prima. Come album si sta rivelando poco diversificato, questo mi dispiace.
7. All I Ever Am
Parte bella ritmata, mi piace la batteria. Chitarra dal suono distorto, as usual. Un po’ si diversifica dalle altre canzoni dal modo in cui parte, anche se mi sembra ci sia comunque il rischio che si possa appiattire come canzone - e infatti è così. Penso che anche le melodie delle canzoni siano tutte un po’ piatte, si perdono tutto sommato.
8. Endsong
La batteria in partenza mi ricorda irrimediabilmente Phil Collins - nello specifico una frazione di “In The Air Tonight”. Tutto sommato è una buona partenza, non mi dispiace come poi si aggiunga anche la chitarra ai synth e alla batteria. Per mia sorpresa cambia proprio sul punto in cui uno sta per dire “si ok ma adesso sta diventando troppo ripetitiva”, circa dopo 2’20” di canzone. Intro musicale chiaramente molto lunga (in un brano che dura 10’23” non posso aspettarmi molto diversamente), non mi dispiace, è avvolgente, abbastanza drammatica. La chitarra mi piace. Molto cinematografico come brano, lo vedrei bene in un film, nel momento in cui tutto sta andando a rotoli e nulla sembra essere recuperabile. L’intro dura circa tutta la prima metà della canzone. Anche qui, negli intermezzi, la chitarra diventa molto “rock classico”, però è piacevole, si creano degli accostamenti interessanti. Forse insieme a “Warsong” e “Drone:Nodrone” è la canzone che ho apprezzato di più.
Complessivamente non posso dire che sia un album brutto, semplicemente lo trovo un po’ piatto e poco memorabile.
Per spezzare subito una lancia a favore di “Songs Of A Lost World” posso dire che non si è persa la ricercatezza e la finezza della parte strumentale, e non smetterò di sorprendermi - come già sottolineavo negli appunti - come la voce di Robert Smith non si smentisca nonostante l’età, anche se trovo che ne abbia fatto un uso poco diversificato tra un brano e l’altro.
Un’altra impressione che ho avuto è che il gruppo abbia disperatamente cercato di rimodernare il sound, ma cercando di mantenere una sorta di aderenza alla sua essenza, senza però riuscirci troppo, portandoli a suonare più anni ’90.
In pratica ha una sonorità diversa rispetto a quella usuale dei Cure, ma generalmente già sentita e rivisitata, che per certi aspetti mi ha ricordato i Muse.
Se devo pensare a un altro paragone mi viene in mente “Songs of Innocence”, il penultimo album degli U2, pubblicato nel 2014 (mi fa ridere che questi album pubblicati dopo anni comincino con “Songs…”. Anche l’ultimo dei Tears for Fears è uscito recentemente e si chiama “Songs For A Nervous Planet”): è decisamente più leggero rispetto a quelle che sono le creazioni degli U2, però mantiene quella delicatezza a mio parere tipica di questo gruppo. Non so come spiegarlo bene, ma è come se ci fosse stata un’evoluzione pur mantenendo una connessione alle proprie radici; sicuramente non è l’album più bello o più notevole, ma ha una certa coerenza.
Questo forse volevano fare i The Cure, ma non penso ci siano riusciti nel migliore dei modi. O forse volevano sconvolgere tutto e cambiare totalmente genere, ma nemmeno in questo caso sono sicura si sia ottenuto il risultato sperato: per questo è come se si trovassero bloccati nel limbo della sonorità più propria degli anni ’90.
“Songs Of A Lost World” non manca di volontà, intenzione o tecnica, nemmeno di grinta, ma è carente di quella pienezza e quella vita che i The Cure di un tempo riuscivano ad avere, anche nei brani più malinconici e tristi, ma comunque spiazzanti.
È rimasto un po’ vuoto, come se fosse solo l’esoscheletro di uno dei gruppi goth rock più conosciuti al mondo.
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