Ero un adolescente all' inizio degli anni '70 amante della buona musica ed ero, come altri, affetto da acne giovanile. Un bel giorno un mio coetaneo (anche lui musicofilo e brufoloso) mi spiegò che era cosa buona e giusta ascoltare e amare i Beatles e i Rolling Stones, ma c'era da ascoltare anche un'altra band chiamata Doors. E mi prestò il primo omonimo album ("The Doors" appunto pubblicato nel 1967) e, inutile dirlo, restai estasiato. Nel corso del tempo coltivai anche tale rock band (oltre a molte altre, nonché vari stili musicali) e, in occasione del mio primo viaggio a Parigi nella primavera del 1988, andai di persona al cimitero di Pere Lachaise per constatare di persona l'entità di quel rito laico che venerava il defunto ed ivi tumulato Jim Morrison nel lontano 1971 come il vero e proprio Dioniso del rock. Da quella visita maturai la convinzione che Jim era sinonimo del quartetto musicale chiamato Doors e mai mi sarebbe passato per la testa provare ad accertarmi cosa fosse stato, musicalmente parlando, un trio recante quello stesso nome dopo la tragica morte di Morrison nel luglio 1971. Oltretutto, la critica degli addetti ai lavori nei riguardi della discografia dei Doors dopo quella data non era proprio incoraggiante

Passano gli anni e i decenni e così avrei proseguito nei secoli a venire se, una settimana fa, un mio amico anche lui onnivoro collezionista di vinili non mi avesse proposto di provare ad ascoltare "Other voices" dei Doors con la motivazione che "forse l'opera non è proprio male". Confidando nel suo buon gusto ho accettato la proposta. Nulla di vincolante e nella migliore delle ipotesi avrei potuto ricredermi. Al di là di tutte quelle recensioni non proprio positive a suo tempo redatte in merito ad "Other voices" , una mia idea personale dovevo pur farmela. Mi sono quindi accostato all'ascolto del disco con la massima attenzione e soggezione, quasi dovessi varcare la soglia di un un luogo sacro, dall'accesso limitato e contingentato.

Ho comunque dovuto tener conto di alcuni presupposti fondamentali. In primis, i 3 Doors superstiti erano ovviamente addolorati per la recente morte di Jim. Ma, come qualsiasi altro essere vivente, non potevano non far fronte a necessità economiche legate agli obblighi contrattuali verso la casa discografica di riferimento. Inoltre non se la sentivano di cambiare nome, né tanto meno intendevano inserire una nuova voce solista nel gruppo (e con chi peraltro ? Non avrebbe comunque funzionato).

E quindi, anche per commemorare l'amico defunto, Ray Manzarek, Robbie Krieger e John Densmore, con l'ausilio di qualche session man, entrarono in sala d'incisione e diedero alle stampe, nell'autunno 1971, "Other voices". Il titolo è già indicativo: le altre voci sono quelle, soprattutto, di Ray e Robbie. E con ciò si è messi sul chi va là : se il timbro vocale di Jim Morrison era profondo, minaccioso ed inconfondibile, lo stesso non si poteva dire degli altri due. Non si può proprio avere tutto ed anche i testi dei brani non risultano notevoli come ai tempi di Jim. Resta però intatta la maestria tecnica dei 3 Doors superstiti, strumentisti di gran livello. Lo stile percussivo di John Densmore è sempre quello ispirato alla lezione di un jazz man come Elvin Jones, mentre un tastierista come Ray Manzarek dimostra sempre una robusta formazione classica, intrisa di profumi jazz. Per non dimenticare un chitarrista come Robbie Krieger che riecheggia tendenze latine e spagnoleggianti.

E quindi il disco scorre via con brani sicuramente ben eseguiti, in cui la traccia stilistica densa di lunghi intervalli strumentali può ricordare i Doors dei giorni migliori, pur senza eguagliare le vette di composizioni come "Light my fire" o "Riders on the storm". È questa l'impressione che si ricava ascoltando brani come "Ship w/Sails" , "In the eye of the sun", "Hang onto your life", "Variety is the spice of life" : un po' come se i Doors titubassero a prendere lo slancio dei bei tempi.

Semmai risultano meglio riusciti quelle composizioni in cui è esplicito il richiamo alla persona di Morrison come "Wandering musician" e "Tightrope ride" in cui si accenna alla solitudine di chi sta sulla fune dell'equilibrista, "come una pietra rotolante e come Brian Jones in corsa su una fune da equilibrista" . E merita anche il brano "I'm horny, I'm stoned" (che tradotto sta per "Ho voglia di sesso, sono sotto l'effetto della droga" ), il cui testo è un sincero inno alla condotta e filosofia di vita hippie, a base di canne e sesso libero (erano tempi di promiscuità sessuale pre Aids...).

Dopo un ascolto così attento del disco, un estimatore dei Doors come il sottoscritto prova sentimenti discordanti. Nulla da eccepire sulla bravura di Ray, Robbie e John, ma provo il cruccio che, su un tappeto sonoro impeccabile di impasto rock blues e venato di aromi jazz, non faccia capolino l'indimenticabile voce di Jim Morrison che è stato molto più di un semplice cantante in seno al gruppo. Insomma "Other voices", pur essendo di buon livello, non è un lp da pieni voti, ma ricopre un ruolo determinante nell'evoluzione di una band che , per cause di forza maggiore , da quartetto (e che quartetto..) divenne un trio di superstiti. Certamente mi sento di consigliarlo a tutti quei giovani che si approcciano alla scoperta ed all'ascolto di tale band, passando da una pietra miliare nel rock come "The Doors" uscito nel 1967 ad "Other voices", traccia sonora di un punto di svolta inevitabile nell'odissea musicale di un così grande gruppo, da non relegare nel dimenticatoio.

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