La prima impressione che, di solito, un inesperto e imprudente ascoltatore si trova ad avere al primo ascolto di un album dei The Flaming Lips è di totale sconcerto e diffidenza.

"Mio Dio che voce di schifo ha questo qua. Ma come fa a cantare?".

Io su quella voce ci sono passato su un bel po' di anni fa, facendomene una ragione, anzi facendomene una passione..

Una tale passione che quasi ci sono rimasto male quando quella voce mi è apparsa (quasi) normale e (quasi) intonata in uno dei primi pezzi che ho ascoltato di questo nuovo album.

Il brano ("We don't know how and why") non mi è sembrato fra l'altro neanche granchè, così isolato, spiandolo dalla finestra.

Poi, ieri, per la prima volta, sono entrato dalla porta, e mi sono fatto tutte le stanze, attraversando tutto il corridoio all'interno della bocca del Re (chissà Wayne Coyne cosa intende raccontare con questa storia assurda? Boh!!).

Dunque, cominciamo con le cose positive: i The Flaming Lips sono ancora vivi, nonostante la benda e la troppo matita sugli occhi del loro leader, i capelli verdi di certi nuovi arrivati, ecc, ecc.

E sono sopratutto ancora dolcemente folli, anzi, per dirla meglio, "dolcemente fatti" (musicalmente parlando), proprio come nel mio amatissimo "The Soft Bulletin".

La nostalgica malinconia psichedelica è proprio quella.

La ricerca sonora (ignoro se sia ancora merito di Dave Fridmann) è davvero formidabile (anche se a volte sfiora l'eccesso, come vedremo più avanti).

E poi c'è Wayne Coyne che si arrischia a modulare la sua "potente" voce, in particolare in un brano come "The Sparrow", proprio nella maniera che adoro, rincorrendo note e melodie (alquanto ricercate) come quasi in preda a un nodo in gola, valorizzando in profondità il timbro emotivo di alcuni pezzi forti dell'album.

Dicevo, ricerca sonora.

C'è di tutto, un pianto (subito in apertura dell'album), voci di sottofondo, effetti e modulazioni (in post-produzione) spericolate di voci e altro, timpani, e tanto ancora.

E ci sono il Bolero (il ritmo), e Così Parlò Zaratustra...

C'è la voce narrante di Mick Jones (dei Clash) che ogni tanto racconta la storia del Re e della sua testa.

Ci sono strumentali possenti e iper-prodotti e ci sono almeno un paio di canzoni che hanno una naturalezza psichedelic pop adorabile (in particolare la conclusiva, "How can a head").

E qui veniamo alle cose negative (non voglio parlare della cover dell'album..), che abbassano il voto.

Sarà forse che con tutte queste cose il "condimento" può risultare un po' eccessivo (sicuramente al primo ascolto, al terzo di oggi lo trovo già quasi adeguato..)?

Forse è questo l'unico vero problema di questo album, insieme ad alcuni brani un po' sfilacciati con sezioni sicuramente splendide prese a se ma un po' disconnesse prese insieme (la stessa "The Sparrow" già citata).

E poi c'è la voce di Wayne Coyne, sempre stonata (questo chiaramente è un problema per i detrattori, non certo per me).

Per finire qualche riferimento.

Ecco, mettiamola così: un misto fra il mood di Eldorado degli ELO, le cose di Jacco Gardner, e gli immancabili Mago di Oz e Pink Floyd.

E anche, a mio parere, un pò di certe ballate dei boschi come sapevano fare gli Yes, in certi pezzi (es. "Giant Baby", "Mouth of the King").

E un po' di Tom Waits ("Feedaloodum Beedle Dot").

E non mi mare poco (anzi, forse è troppo..).

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