Qualcuno, un lontano giorno, inventò il doom. Forse non immaginava di dar vita ad un vero e proprio genere musicale. Disquisire su chi, come, quando e perchè nacque non interessa e creerebbe soltanto confusione e prese di posizione.

Negli anni che sono trascorsi inesorabili sono state diverse le band che in un modo o nell'altro ne hanno influenzato il corso, ritoccandone sonorità o metodo di approccio. Tra esse ricordiamo i Candlemass per il lato più classico, i Cirith Ungol per l'epicità e un'acidità mai prima riscontrata, i My Dying Bride per quanto riguarda il lato più romantico e "ottocentesco". Poi ci sarebbero da citare band come Pentagram e Manilla Road, che seppur in maniera minore hanno largamente inflazionato e perfezionato il doom metal. Sulla scia di queste ultime due realtà sono nati i The gates of slumber, band che a dispetto della qualità delle opere prodotte non è ancora riuscita ad affermarsi concretamente, nonostante un buon seguito in Europa (pur essendo composta da tre membri americani).

Motivo in più per conoscere la band è l'uscita del loro ultimo disco, "The wretch", ufficialmente distribuito dal 10 maggio 2011 per opera della Rise Above. Il primo fattore rilevante viene dall'ennesimo cambio di batterista: dal 1998 (anno dell'uscita di "The awakening"), i doomsters di Indianapolis hanno più volte cambiato drummer. Prima Chuck Brown, poi Chris Gordon. Infine quando Bob Fouts (con lui due album) sembrava essere l'elemento stabile, anch'esso ha abbandonato il gruppo, puntualmente rimpiazzato da Clyde Paradis.

La nuova uscita dimostra quanto i tre membri siano legati al metal inteso prima di tutto come "stile di vita". Alcool, grezzume e potenza (quelli che si direbbero i clichè...) tutti riversati con forza e spirito marcio in una musica in perenne bilico tra l'epicità oscura dei Manilla Road di "Mystification", lo stridore dei Cirith Ungol e l'aggressività oppressiva degli Orodruin. Un ensemble vario ma pur sempre legato ad una classicità sonora facilmente riscontrabile fin dall'iniziale "Bastards born", dove la lentezza del doom si unisce ad una nebbia che riporta in mente i ritmi fungoidi in stile Saint Vitus. La sgraziata voce di Karl Simon (anche chitarra) contribuisce a rendere bene l'idea di "cantina": un'aria che si enfatizza ed esplode con "The scovrge ov drvnkenness", prepotente cavalcata doom tra le Montagne Rocciose.

Rispetto al precedente "Hymns of blood and thunder", The wretch risulta più orientato verso lidi doom e meno epic: rimane però un punto in comune, cioè quella predilezione per l'improvviso innesto psichedelico all'interno di macigni durissimi. "Castle of the devil" apre le sue porte, sottolineando il gusto retrò e in un certo senso meno "estremo" di Simon e soci. Senza ombra di dubbio il capolavoro del cd, che si mantiene su buoni livelli (ma non ottimi) con la veloce "Coven of Cain" e con l'incidere asfissiante della titletrack. Nessun momento per respirare, ma soltanto lapilli di riff su riff che impediscono all'ascoltatore di avere tregua. In essa si nota però anche l'unico vero difetto di The wretch: la mancanza di un reparto riff più vario, con soluzioni che alcune volte (vedi "Bastards born" e la tiletrack) si avvitano in una saturazione chitarristica che scade nel noioso.

"The wretch" è un'oasi di metallo rovente, lava e alcool. In esso non troverete nè refrigerio, nè speranza. Prima c'è da valicare un muro sonoro impenetrabile, che si decompone di tanto in tanto solo per lasciare qualche varco ai fantasmi psichedelici di un'America lontana nel tempo e nella polvere.

1. "Bastards Born" (6:48)
2. "The Scovrge Ov Drvnkenness" (5:57)
3. "To The Rack With Them" (3:15)
4. "Day Of Farewell" (7:14)
5. "Castle Of The Devil" (7:55)
6. "Coven Of Cain" (3:44)
7. "The Wretch" (8:18)
8. "Iron And Fire" (12:44)

Elenco tracce e video

01   Bastards Born (06:49)

02   Scourge of Drunkenness (05:59)

03   To the Rack With Them (03:15)

04   Day of Farewell (07:14)

05   Castle of the Devil (07:55)

06   Coven of Cain (03:44)

07   The Wretch (08:18)

08   Iron & Fire (12:44)

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