Siete amanti delle sonorità gotiche e romantiche e, nello stesso tempo, vi piacciono i passaggi di chitarra lenti e cadenzati in pieno doom style?

Bene, se condite il tutto con una delle voci femminili più suadenti mai ascoltate, avrete “Mandylion” degli olandesi The Gathering.
Quella di Anneke Giersbergen è una voce particolare e differente da quella di numerose sue colleghe votate al suo stesso genere di musica, e caratterizzate da un approccio più classico, quasi da camera, delle loro tonalità vocali. Anneke, invece, eccelle in caratteristiche quali la dolcezza e la morbidezza dei suoi vocalizzi, senza esasperare i suoi timbri fino all’ autocompiacimento, ma mantenendo la sua grazia soave in tutti i passaggi sonori, sia alti che bassi.

Questa differenza, forse, trova la sua ragione nel suo diverso repertorio rispetto alle altre vocalist di tante altre bands, cresciute studiando canto lirico e classico. La cantante, infatti, fu reclutata dai componenti di allora della banda dopo la visione di un suo concerto tenuto in un pub, in cui ella suonava insieme al suo gruppo jazz. Tutto questo, si badi bene, avveniva, intorno alla metà degli anni 90 e non recentemente. Questo solo per dire che i The Gathering rappresentano uno dei primi fulgidi esempi di band capitanata da una donna in un universo, quello del gothic metal, poi gothic rock, caratterizzato come in tutto il rock ed il metal in genere, da un gretto e chiuso maschilismo.

“Mandylion”, oltre a rappresentare forse il capolavoro della loro discografia, è certamente uno degli album più belli della scorsa decade nel genere. Un album in cui echeggiano atmosfere malinconiche e romantiche di sottofondo create dalle tastiere, in cui si inseriscono i riffs lenti delle parti ritmiche mai monotoni e pesanti, ma sempre gradevoli. A partire dall’ opener “Strage Machines” , l’ascoltatore è catturato dalla melodia del cantato della Giersbergen, dall’atmosfera poetica di sottofondo prodotta dal sound delle tastiere e dalla cadenza delle chitarre e dei bassi che l’ accompagna per tutta la durata dell’album, che trova i suoi picchi nella successiva “Elèanor”, caratterizzata da un giro di basso magistrale e da una parte strumentale incredibilmente suggestiva, in “Motion # 1”, in cui colpisce il delicato incedere delle tastiere che fà da contrappunto ad una ritmica molto cadenzata, in “Leaves”, contraddistinta da un atmosfera onirica difficilmente dimenticabile, soprattutto negli arpeggi e nell’assolo di chitarra, e in “Fear the Sea”, song che si distingue dalle altre per un approccio più veloce ed heavy. Il punto più alto dell’album, a mio parere, è da ricercare in “Sand and Mercury”, in cui ad una prima parte più veloce in cui particolarmente apprezzabile è il contributo dato dal pianoforte, ne segue una più lenta e psichedelica in cui affiora struggente la voce di Anneke.

In conclusione quest’album rappresenta un ottimo consiglio a chi si vuole avvicinare ad un genere che, attualmente, sta vivendo purtroppo un periodo infelice e privo di ispirazione.

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