Nessuna riedizione celebrativa, nessun enorme cofanetto con tre o più vinili, farciti di registrazioni live o pseudo bootleg all’interno. Non avremo un libro pieno zeppo di fotografie di repertorio, in occasione del trentennale di un album che ha venduto più di undici milioni di copie in tutto il mondo.
Nell’epoca dello streaming, che ha costretto le major a trovare nuove soluzioni per movimentare il mercato, tra long playing colorati e versioni deluxe per allungare il brodo, manca un degna festa in maschera per “Smash”, il terzo iconico lavoro degli Offspring.
La cosa stona un po’ ma ci restituisce quella dimensione che apparteneva all’ultimo decennio del vecchio secolo. Una dimensione meno evanescente e più concreta, dove un disco venduto aveva davvero un peso importante. Si vocifera che il padre di Epitaph, Brett Gurewitz, già chitarrista dei Bad Religion, abbia dovuto ipotecare la casa per poter stampare ulteriori copie di “Smash” e far fronte alla folle richiesta del pubblico. Qui si parla delle fortune di un’etichetta indipendente, l’unica fino ad oggi a detenere il record di vendite per una singola pubblicazione.
Se pensiamo che con due album dignitosi alle spalle (The Offspring/Ignition), Dexter Holland faceva ancora il galoppino per l’etichetta, Noodles il bidello per una scuola media, Ron Welty il panettiere e Greg K l’addetto alla copisteria, il prequel della storia assume tinte cinematografiche. Il tutto dopo un tour molto impegnativo appena ultimato in giro per l’America, in compagnia dei Pennywise e nel Vecchio Continente a fianco dei NOFX.
E se la fame vien mangiando…Gli ingredienti non mancavano affatto, la voglia di affermarsi e vivere della propria passione, la musica, nemmeno. La coda dell’occhio vedeva i colleghi più famosi ingrandirsi e il tempo passare in fretta. Fu così che Dexter e compagni decisero di mettere anima e corpo in quelle quattordici tracce, fondendo tra loro sonorità punk, surf, ska e tanta rabbia giovanile.
La voce dell’attore John Mayer (sarà presente anche in “IXNAY” e “Americana”) apre le danze con la spoken track “Time To Relax” e da questo punto in poi sarà solo energia. Dal rullante forsennato di “Nitro”, si passa alla follia di “Bad Habit”, pensata da Dexter durante i lunghi e lenti viaggi a bordo del suo scassatissimo pickup Toyota. Un vero e proprio ossimoro, viene da pensare durante l’ascolto.
“Gotta Get Away” fa rifiatare, da buona midtempo, poi ci viene restituito quel rullante di cui prima in “Genocide”, che non si esime dalla denuncia politica:“Dog eat dog, to get by, hope you like my genocide” grida all’impazzata Holland sui refrain. Della stessa pasta è fatta “Something To Believe In”, che ha l’ingrato compito di precedere il singolo iconico per eccellenza: “Come Out And Play”. A Jason McLane, fan sfegatato della band, è stata data la possibilità di consegnare alla storia la voce mentre sussurra quel “You Gotta Keep’em Separated”, che sfocia nei riff orientaleggianti che, da quel lontano 1994, non ci sarebbero più usciti dalla testa. Sarà questo il singolo che contribuirà al successo travolgente di “Smash” e fornirà soluzioni per la realizzazione di altri pezzi iconici come “Original Prankster”, “Pretty Fly(For a White Guy)" oppure “Hit That”. “Self Esteem”, che non a caso occupa la posizione successiva, è la seconda iconica smash hit, seppur più lenta e macchinosa. A metà della tracklist si raggiunge il picco, poi non si rallenterà più fino alla fine, eccezion fatta per “What Happened to You”, che ci spinge nella dimensione ska, facendoci divertire e sbracciare sui ritornelli.
“It’ll Be a Long Time”, “Killboy Powerhead”, “So Alone”, “Not the One” e la closing omonima “Smash”, sono unicamenteriff e potenza. I quattro di Garden Grove non vogliono nascondere la loro ammirazione (e ispirazione) verso “Bad Religion”, “Pennywise”, “NOFX”, “Dead Kennedys”, “Social Distortion”, “Black Flag” e lo fanno capire a parole e fatti.
“Smash” è un lavoro che attraversa i decenni raccogliendo continui consensi. Non nasconde i segni del tempo, che riesce anche a mascherare, per quanto suoni sempre attuale. La voce urlata e la timbrica nasale di Dexter Holland, i riff di Noodles che spaziano dal punk rock al metal, le note di basso di Greg Kiesel e le bacchette incendiarie di Ron Welty, hanno dato un’impronta irripetibile a un disco storico e iconico, arrivato a ridosso della scomparsa di Kurt Cobain, che ha traumatizzato la continuità di un genere a sua volta iconico per il periodo che ha rappresentato.
“Smash” è l’inno di una generazione e il simbolo del punk californiano Anni Novanta, come fu “Nimrod” degli illustri colleghi “Green Day”.
Se ne è già parlato tanto, si è già ascoltato tanto ma a quanto pare non basta mai.
Perché, come si suol dire, l’importante è che se ne parli. Ma ancor più importante, è che se ne senta parlare.
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