E' proprio difficile orientarsi tra le tante band che affollavano l'Inghilterra dei primi anni 80. Quella scena era infatti un ribollente calderone di influenze, novità, ma anche di ridicole banalità. Ecco perchè, quando ci si accosta a qualcosa che viene definita "di culto", bisogna sempre prestare molta attenzione, dato che non è difficile incappare in fregature.

Di certo a questa categoria non appartiene l'album d'esordio dei Sound di Adrian Borland. La sua corsa è finita sotto quella di un treno, in un tragico giorno d'Aprile del 1999, ma era partita vent'anni prima, alla ricerca di una fama che purtroppo non ha mai arriso al gruppo di Liverpool.
Già, Liverpool, di certo non una piccola cittadina di periferia. Eppure a questi quattro inglesi non mancava sicuramente il talento, se paragonati ad altre band del periodo. Forse, il loro fallimento, è da ricercarsi nell'immagine non proprio attraente dal punto di vista "evocativo" del leader. In più, c'è da dire che il loro suono era forse imbevuto di troppe influenze, e che quindi non aveva una personalità immediatamente riconoscibile. C'era del pop, del dark, ritmi post-punk, sottili tracce di psichedelia ed un'enfasi che in alcuni brani ricordava le disperate invocazioni di un glam-rocker. Ma questo non giustifica del tutto lo scarso successo commerciale, anche perchè, non è un reato suonare molto "contaminati". Ciò che conta dovrebbe essere il risultato, che in questo caso è davvero buono.

Jeopardy esce nel 1980, in piena era post-punk, sotto etichetta Korova, la stessa dei più fortunati Echo & The Bunnymen.
Le chitarre taglienti, la batteria scarna ed essenziale, e le tastiere minimaliste che aprono il disco, ricordano molto i coetanei Joy Division. "I Can't Escape Myself" è infatti un pezzo nervoso, cupo e desolante come le visioni di Ian Curtis. Sembra voler esplodere da un momento all'altro, ma proprio quando sembra che lo faccia, si trattiene, e ritorna abulico. Senza dubbio però, un gran bell'inizio. Il ritmo ferroviario che incalza "Heartland", assiste splendidamante un basso ossessivo nella migliore tradizione post-punk, e le solite tastiere atmosferiche e stranianti. Borland canta come un crooner semi-disperato, nel suo tono caldo ed epico, perfettamente a suo agio nel suono complessivo del gruppo. L'ipnotica "Heartland" evoca ancora i migliori Joy Division, con i suoi squarci di tastiere dolorose, mentre "Words Fail Me" è un mix di energia punk e garage-rock. Due brani che preludono all'elegia solenne di "Missiles", un inno antimilitarista , epico e disperato, pervaso da un senso di sconfitta e introversione che non lasciava però trasparire nessuna traccia di speranza, al contrario di ciò che faranno invece i non molto lontani U2 pochi anni dopo. Borland insomma era un perdente, e questo si evince chiaramente tra le righe del suo cantato e tra le note del gruppo. Eppure "Missiles" è davvero commovente nel suo disperato crescendo, con quelle tastiere che sembrano sibili di aerei da guerra.
Il basso gommoso di "Heiday" ricorda molto da vicino il groove degli A Certain Ratio, mentre nella title-track sono le tastiere ad essere di nuovo protagoniste. Senza dubbio il ruolo dell'elettronica era molto importante nelle loro composizioni, le tastiere erano infatti molto più presenti che nella maggior parte dei gruppi del periodo, e creavano quell'alone grigio che rendeva fascinoso il loro suono. In più, erano portate molto "avanti" in fase di missaggio, così come pure il basso. Si può senza dubbio affermare che erano questi due gli elementi guida della loro musica.
Il disco prosegue con lo scatenato punk-rock di "Resistance", un boogie travolgente e frenetico, il cui umore euforico viene prontamente stemperato dall'atmosfera rarefatta di "Unwritten Law", e dalla nevrosi latente di "Desire", una malata elucubrazione che Borland intona in modo paranoico e disperato.

Tutti gli 11 brani si mantengono sempre su ottimi livelli. Non c'è, in definitiva, nemmeno una caduta di tono, così come pure la coesione totale del disco è davvero invidiabile.
Detto questo non resta procurarselo, perchè al di là delle disquisizioni sul perchè di un fallimento artistico, ciò che resta in fondo è sempre la musica. E in questo caso è ottima musica.

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