"Ho disceso quel fiume una volta, quando ero ragazzo. C'è un posto lungo il fiume, una piantagione di gardenie o forse di altri fiori, un tempo. Ma si sarebbe detto che il paradiso fosse caduto sulla terra sotto forma... sotto forma di gardenie."

Se tracciamo su di una approssimativa cartina geografica degli Stati Uniti d'America una mappatura delle più significative e influenti rock band degli anni novanta, lungo il nostro itinerario, che dalla Seattle del Grunge arriva fino alla solita e immancabile New York sull'Oceano Atlantico, Cincinnati è una tappa obbligatoria.

Cincinnati è nel Midwest, Stato dell'Ohio, e sorge sull'omonimo fiume, che poi è uno dei principali affluenti del Mississippi River. La città è uno dei centri industriali e commerciali più importanti della regione e, tra le tante cose, sede di importanti compagnie, tra cui è impossibile non menzionare la Chiquita Brands International Inc., colosso leader nella produzione e commercializzazione di banane.
Soprattutto, tra la fine degli anni ottanta e gli anni novanta, Cincinnati è la città degli Afghan Whigs, band che, a dispetto del nome, aveva troppo poco a che fare con l'Asia Centrale e ancora meno con le monarchie costituzionali.
Capitanati dal carismatico e fondamentale Greg Dulli, gli Afghan Whigs erano una formidabile combinazione di quattro "gentlemen". Certo le classificazioni non sono il mio forte, ma la produzione nel corso degli anni di cinque più o meno significativi e eccellenti lavori - l'ultimo dei quali, "1965", pubblicato dalla etichetta Columbia Records nel lontano 1998 - è ancora oggi valida prova e testimonianza delle grandi capacità di questo gruppo, che sarebbe riduttivo definire solo "grunge" data la discreta lontananza delle loro produzioni dai capisaldi del genere più amato dagli indossatori di jeans strappati e camicioni di flanella a quadroni. Difatti, ascoltasi pure "Congregation" o "Gentlemen", gli Afghan Whigs muovendo dal grunge, che fu poi più vero o presunto fenomeno culturale piuttosto che un semplice genere musicale, erano approdati a una dimensione sonora propria e personalissima, le cui principali caratteristiche sono certo evidenziate dalla violenza della chitarra graffiante e incisiva dell'ottimo Rick McCollum, dalle linee melodiche tracciate dal basso di John Curley e, soprattutto, dalla voce da orco di Greg Dulli, un gigantesco figlio di puttana e incallito fumatore - nessuno lo ha mai visto sfornito di sigarette - e bevitore di whisky. Non solo, Greg Dulli è più Nick Cave che Neil Young e negli anni novanta è stato uno dei più migliori scrittori di liriche cattive, assassine, assatanate e tenebrose della scena americana.

Sicuramente Greg Dulli è uno dei pochi che, quando il grunge è morto, ha continuato a darsi da fare con successo e a registrare buoni dischi. In Italia è noto ai più per la collaborazione e amicizia con Manuel Agnelli degli Afterhours, con cui ha lungamente viaggiato in tour (sia in Italia che negli States) e con cui ha collaborato nella produzione del disco "Ballate per piccole iene", per chi scrive il miglior disco della band milanese in tandem con "Quello che non c'è". E' stato sempre lui inoltre a agevolare la pubblicazione della versione americana dello stesso disco, "Ballads for Little Hyenas" (One Little Indian).
Musicista e animale da palco instancabile, chiusa l'esperienza con gli Afghan Whigs, Greg Dulli ha dato vita a un suo personalissimo e esclusivo progetto, i Twilight Singers. Trattasi per la verità di un progetto musicale "aperto" e i cui componenti, tranne ovviamente Dulli, unica mente, unico leader, ideatore e dittatore assoluto, sono variabili e interscambiabili - lo stesso Manuel Agnelli ha collaborato con i Twilight Singers sia su disco che dal vivo in diverse occasioni.
Per la verità, le fortune e la qualità delle produzioni dei Twilight Singers sono variabili e non sempre eccelse. Questo disco, "Blackberry Belle", in particolare e tuttavia ci appare decisamente riuscito e degno delle migliori produzioni degli Afghan Whigs. Certo, se consideriamo anche le altre più recenti produzioni di Dulli con i Gutter Twins, interessante quanto deludente progetto messo in piedi dall'ex Afghan Whigs con l'altro mammasantissima Mark Lanegan, è il suo lavoro migliore degli ultimi dieci anni e, riprova del suo grande talento e capacità nello scrivere canzoni, uno dei dischi più interessanti tra quelli usciti dal duemila ad oggi.


"Blackberry Belle" usciva nel 2003 per la One Little Indian. Undici tracce registrate in giro per gli Stati Uniti con almeno dieci o dodici musicisti diversi e interscambiabili e collaborazioni più o meno note. Su tutte, quella con il solito Mark Lanegan in una delle più belle canzoni scritte da Greg Dulli, "Number Nine". Infine, ma non alla fine, conoscendo il personaggio e ascoltando i suoi lavori, non può e non deve stupire l'omaggio rivolto allo scrittore Jack London ed alla sua opera e personaggio "Martin Eden", cui Dulli dedica e intitola la canzone di apertura del disco. Basterebbe tutto questo per convincersi a lasciarsi annegare e soffocare quarantacinque o cinquanta minuti dalla voce e dalle musiche di uno dei migliori e fottuti scrittori di canzoni degli ultimi venti anni, ma è doveroso aggiungere che a questo ottimo lavoro i Twilight Singers fanno poi seguire la pubblicazione di almeno un altro piccolo gioiello, quel "She Loves You" forse troppo sottovalutato e banalmente considerato solo un disco di cover e che invece è grande manifestazione delle capacità interpretative e vocali del buon vecchio Greg Dulli, uno che invecchiando ha forse affinato il suo stile e il suo innato senso della melodia. Tutto in attesa della pubblicazione del prossimo disco dei Twilight Singers, che, stando ad alcune informazioni reperite in giro per il web, dovrebbe accadere nell'anno corrente 2010...

C'è altro da dire sulla città di Cincinnati. Una decina di anni fa, durante uno dei miei viaggi, ho avuto modo di conoscere e bere più di qualche lattina di birra in compagnia di un nemmeno troppo vecchio lupo di mare della ex Jugoslavia. Questo tizio si chiamava, si chiama Dubo e nella vita di tutti i giorni è direttore di macchina sulle navi da commercio e da trasporto. In particolare, si occupa della manutenzione delle celle frigorifero. Ora, per chi si intende di navigazione, ma anche no, è facile capire che il direttore di macchina è un lavoro di grandi responsabilità, seconde solo a quelle del comandante, e un'attività per cui sono richieste considerevoli capacità tecniche, esperienza professionale e preparazione. Ma Dubo è un tipo in gamba, sa fare il suo lavoro e, negli anni, ha acquistato una certa reputazione, tanto che sono oramai almeno quindici anni che lavora come tecnico sulle navi commerciali della Chiquita. Più di una volta abbiamo tirato tardi a parlare di come durante la guerra ha gabbato l'esercito e passato le frontiere per volare fino a Cincinnati e mettersi al lavoro.
Dubo fa avanti e indietro sulle navi della Chiquita che dalla Colombia trasportano banane lungo la costa atlantica degli U.S.A. per rifornire la casa bianca. Non ha alcun senso parlargli della mappatura degli Stati Uniti e degli itinerari del grunge degli anni novanta, anche perché probabilmente di tutto questo non gliene importerebbe nulla e non ha nemmeno mai sentito nominare gli Afghan Whigs. Dubo viene dalla ex Jugoslavia, ha avuto la guerra in casa fino all'altro giorno e tutto quello che conosce degli U.S.A. è la sua faccia più sporca, quella delle multinazionali che operano, commerciano e importano dal Sud America. La Chiquita Brand, tra le tante compagnie, è una delle principali finanziatrici del gruppo paramilitare di ultradestra Autodefensas Unidas de Colombia: una brutta storia di traffico di armi e di narcotraffico, e di 1.700.000 dollari in banconote, tutti dichiarati in sede processuale ai mangiabanane del Tribunale federale di Washington, girati dal colosso multinazionale ai paramilitari per "proteggere la vita dei nostri lavoratori, in una fase in cui rapine e omicidi erano frequenti."
Avrei voluto parlarne a Dubo, ma mi sono solo arrischiato a chiedergli: "Dubo, what about the United States?" Mi ha risposto: "Monkeys."

Scimmie. Ogni tanto ci penso ancora. Chiudo gli occhi e lo vedo, il Colonnello Kurtz, mentre a grandi passi si fa strada nella piantagione di gardenie. E' grande e grosso come una montagna e ha lo sguardo volto verso l'infinità del fiume Ohio, un attimo prima di essere massacrato a colpi di mannaia dal Capitano Willard e di volgere alla fine l'ultimo pensiero al fiume Nung (Mekong), alla Cambogia. Gli Stati Uniti d'America, il Midwest, Cincinnati allora sono troppo lontani, appaiono irrangiungibili dalla giungla dove tutte quelle gardenie sono solo sterminate piantagioni di banane che marciscono.

E allora capisco perché Dubo ha smesso di mangiare banane. Alla faccia delle carenze di potassio.

Com'è che finisce quel libro? "E nel momento stesso in cui n'ebbe coscienza, cessò di averne coscienza."

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