La storia si ripete! Band di diciottenni pubblica un paio di singoli e la stampa si prostra ai suoi piedi. Come fare per rimanere obiettivi, per non trovarsi nel bel mezzo del gregge ad osannare i nuovi paladini della musica? Il metodo e’ molto semplice. Per intenderci e’ lo stesso che attuate quando registrate l’evento sportivo dell’anno, non potendolo seguire in diretta, e vi tagliate fuori dal mondo per non conoscere anticipatamente l’esito.Quindi cd che gira nel lettore e giornali, televisioni e radio lontani anni luce. Il minuto e mezzo della traccia d’apertura ha il compito di mettere subito in chiaro una cosa: in quest’album non troverete niente di nuovo, niente che nel rock degli anni ’90 non sia stato gia’ scritto. Quello che resta da capire e’ il modo con cui vengono fatte le citazioni.”Highly Evolved”, “Outthataway”, “Get Free” e “In The Jungle” sono un interessante mix tra la rabbia dei Nirvana e la spensieratezza dei primi Supergrass, “Autumn Shade”, “Country Yard” e “Homesick” sono ballad che qualche anno fa Noel Gallagher armato di chitarra acustica avrebbe scritto ad occhi chiusi ma che da “Be Here Now” in poi sembrano far parte del suo illustre passato.Particolare menzione merita “Factory” pezzo che troverebbe degna collocazione in “Parklife” dei Blur. Se vi siete dimenticati cosa gli anni ’90 hanno sfornato questo e’ l’album che fa per voi poiche’ ripercorre con freschezza e intelligenti ispirazioni un decennio di guitar-band.Rimane comunque la speranza che i The Vines da questo punto in poi dimostrino maggiore interesse per le radici del rock a cui Oasis e company devono la loro fortuna.In poche parole non chiamateli i nuovi Strokes ,gli americani hanno iniziato a studiare dai primi capitoli della storia della musica.

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