E' ferragosto, un'altra odiosa festa estiva, come se l'esistenza non fosse ancora sufficentemente acerba ci pensano i vari Lucignolo a mostrarci come si trastrullano quegli odiosi vip.
In un mare di superficialità ci viene propinata l'ultima festa di quel viscido ruffiano pieno di soldi.
Mi illudo di credere che il mondo non sia tutto così; non ne ho idea ma io non mi riconosco nelle immagini della televisione non mi sento di essere una persona superficiale che per la mente ha solo le nike e i pantaloni della rich, non mi va che la mia generazione sia identificata solo per i pantaloni a vita bassa e l'ipod.
No, non ho nulla in comune con gli adolescenti dell'inchiesta apparsa su panorama mesi fa che mi fece inkazzare (con la k per essere attuali) eppure sono un adolesente anch'io, forse dipende da me, sono io quello fuori contesto, sono solo un pazzo?

In un deserto di teenger lobotomizzati però mi viene in mente un altro svitato: il protagonista di Quadrophenia.
Metto su il disco... sto già meglio, ciò che sento è la frustazione e l'apatia, ciò che ogni adolescente probabilmente ha pensato almeno una volta: le paure, il volersi riconoscere in un gruppo, la solitudine (la nostra amica più fedele quella che non ci abbandona mai), la gioia per lo sguardo lanciato dalla ragazza della casa a fianco.
Tutte queste emozioni che fanno da cornice alla nostra inutile esistenza sono racchiusi in questo magnifico album scritto negli anni '70 ma senza la pomposità nauseante del prog o la pesantezza ottusa dell'hard rock.
Qui gli Who danno una delle loro prove migliori: Roger inerpreta magnificamente i brani, John suona da dio (vedi The real me) ed è autore dell' impetuosa cavalcata Doctor Jimmy , Moon non è ancora rincoglionito dalle droghe e dà grande prestigio e sensibilita alla sua batteria trasformata in una macchina da guerra straordinaria in ogni brano.
Infine ma non meno importante rimane Townshend, autore illuminato di tutti i testi nonchè chitarra, dalla furia punk (Sea and sand), triste e malinconica nell' atto finale Love reign on me.
In una parola umano, una spalla (ce n'è sempre bisogno) su cui piangere, nè sperimentale nè autoreferenziale, non gelido ma caldo come un abbraccio e forse, prima ancora degli artisti anni '90, dalla parte dei losers o meglio delle persone normali: di quelli che fanno un lavoro che odiano (The dirty jobs), quelli che pensano al suicidio (I've Had Enough), quelli che hanno problemi in famiglia (Cut my Hair).

Forse ho capito sono fuori contesto ma per fortuna su questo mondo non sono solo ad esserlo e, per buttarla sul romantico, le mode passano, le esistenze si dissolvono come le ossa di un morto, ma le emozioni rimangono.
Non un trend, non una marca, solo un atto umano, ascoltatelo vi farà bene. Non vi consiglio nessuna canzone, sono tutte bellissime e questa è un'opera rock e tutte le canzoni sono essenziali.
Ciao

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