“Lo strano Garage”

Chissà cosa penserebbero gli oramai 60/70 enni americani che nei medi 60, infervorati e galvanizzati dalla prima venuta di Kinks e Beatles in USA, e dal recupero delle radici nere del r'n'r, si rinchiusero nei loro garage, imbracciarono alla bene e meglio gli strumenti e crearono un “genere” musicale, se sapessero che quella loro urgenza creativa giovanile avrebbe percorso più di 40 anni di storia musicale e sarebbe non solo sopravvissuta, ma rimasta viva, vegeta e arzilla come negli ultimi anni?
Non molto, credo, visto che la lunghezza sesquipedale della mia domanda ne avrebbe probabilmente messo a dura prova la già ridotta capacità di concentrazione.

La cosa che più stupisce del garage, è l'innata capacità di rinnovarsi, soprattutto se si pensa che in sé è un genere musicale formalmente fermo alle origini del proprio concepimento. Quindi nessuno stravolgimento sostanziale nella sua evoluzione, però, nel tempo, i più avvertiti fra i coltivatori dell'orto garage han sempre cercato di guardare all'orto del vicino, mischiandolo via via con elementi diversi: negli '80 con la wave, nei 90 calzando sulla bassa fedeltà e sul recupero delle origini blues del garage, ad esempio. E nei 2000? Boh, forse è presto per dirlo, ma un gruppo come i Thee Oh Sees, e un disco come questo ultimo “Carrion Crawler/The Dream”, potrebbero essere, se non la risposta a tale domanda, almeno un indizio della direzione in cui guardare se si cerca una risposta.

Esce per la In The Red, culla del garage fra 90 e anni '00, il terzo disco in un anno e mezzo della combriccola di californiani sballati capitanata da John Dwyer (in precedenza Coachwhips e altri gruppi sgangherati), prolifico musicista e mentore anche di giovani leve dell'undergound di Frisco, come Ty Segall e Mikal Cronin. Chi ha voglia e tempo, recuperi la produzione precedente degli Oh Sees, la qualità media è sempre alta, e ce n'è per tutti i gusti. Ma tutti, e ripeto tutti, gli amanti del garage dovrebbero dare almeno un ascolto a questo disco qui. Perchè qui c'è una idea ampia e “nuova” di garage che non può non far godere sia vecchi che nuovi fan di tali sonorità.
Sezione ritmica a due batterie (si lo so Mick Collins e i suoi Dirtbombs lo fanno da 15 anni, ma qui è diverso), canzoni in media oltre i 4/5 minuti, ritmiche cavernicole come d'ordinanza, ma sparate a mille su una autobahn mentale insieme a Neu, Kraftwerk, che parte da Frisco per arrivare a Norimberga. Questo l'effetto di una bomba kraut'n'roll come “The Dream”. E come definire “Contraption/Soul Desert”? Una specie di “Baby Please Don't Go” suonata nelle fonderie di Dresda, ecco cosa sembra. In mezzo brani più conformi alla prassi garage, sia per minutaggio che per concezione (le pillole “Opposition”, “Crushed Grass” e “Wrong Idea”), ma anche nenie mezze primitive tipo “Crack In Your Eye”, o la salmodiante e fracassona “Robber Barons”. Menzione anche per l'iniziale “Carrion Crawler”, che parte dal riff di “Interstellar Overdrive” dei primi Floyd, per poi perdersi in deliri chitarristici robotico-psichedelici favolosi.
Disco dell'anno (insieme a quello di Mikal Cronin)

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