Quando si suona del pop da classifica e ci si sforza palesemente di tenere pose e look che impressionino ancor prima l'occhio dell'orecchio, vi è un'unica possibilità per non risultare insignificanti se non sgradevoli, specie verso chi ama profondamente la musica e mal sopporta le eccessive sovrastrutture che eventualmente la accompagnano: avere comunque dei grandi pezzi, delle belle canzoni, dei dischi fatti bene.

E' il caso di quest'album dei Thompson Twins: contiene buone melodie, arrangiate bene e prodotte meglio (nello stile del tempo, ché siamo in pieni anni ottanta edonistici, variopinti e sintetici), discotecare ma consistenti, ruffiane ma intelligenti, nel quale le poche, ma limpide idee musicali del leader del gruppo Tom Bailey, nonché la sua ordinaria ma competente voce, vengono rese al meglio da arrangiamenti dinamici e particolarmente solari.

Merito questo del produttore, il bravo e purtroppo prematuramente scomparso Alex Sadkin, il quale teneva base fissa alle Bahamas e si era fatto le ossa negli anni settanta con gente come Bob Marley, quindi sapeva molto bene che cosa fare per iniettare dosi di luminosità e ritmo al britannico grigiore musicale di questi tre proletari giovanotti, tutti provenienti dagli squat londinesi, gli appartamenti occupati della capitale.

Passati dunque in poco tempo dall'espediente di prelevare abusivamente l'energia elettrica dal contatore di un altro appartamento limitrofo, ed altri simili accorgimenti, alle gioie delle classifiche discografiche di mezz'Europa, i tre firmano nel 1984 questo loro terzo album che può individuarsi come l'apice di carriera. L'onda giusta durerà un altro paio di anni, dopodiché uno dei tre amici il mulatto tastierista Joe Leeway se ne andrà per i soliti problemi di sottostima e mancanza di adeguato spazio creativo. I due superstiti, Bailey e la rossa Alannah Currie (che facevano coppia anche nel privato, in quegli anni) andranno avanti fino al 1993, con riscontri sempre meno estesi fino al getto finale della spugna.

Tornando a Sadkin, egli si fa dunque artefice di una trama elettronica brillante e agile per tutti i nove pezzi in scaletta, appoggiata sulla sintesi di suoni percussivi ed etnici (marimbe, sonagli e guiri a tutto andare), riuscendo a trasmettere calore e naturalezza alla resa sonora, nonostante il ruolo minimo riservato agli strumenti tradizionali ovvero pianoforte, qualche arpeggio di chitarra elettrica, sporadici interventi di armonica a bocca e di melodica.

"You Take Me Up" è la più incisiva dell'album e si avvale di cori africaneggianti in risposta alla linea vocale di Bailey, nonché di suggestivi contrappunti della melodica di Leeway. "Day After Day" prende un poco a prestito lo stile vocale semi parlato e folleggiante dei Talking Heads. "Sister Of Mercy" mischia pianoforte e percussioni latine con la tradizionale, danzereccia cassa in quattro, per un funky quanto più melodico possibile. "Hold Me Now" è la mia preferita, con un cantato ipnotico e insistente, circolare.

Non vi sono comunque riempitivi, la qualità musicale resta costante lungo tutto l'album, supportata da adeguata varietà. Al tempo c'era anche di meglio da ascoltare nell'ambito di questo genere (Tears For Fears e Talk Talk, ad esempio), ma nell'occasione i Thompson Twins seppero essere all'altezza dei migliori.

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