“La comprensione è migliore della pratica meccanica.

Migliore della comprensione è la meditazione.

Ma meglio di tutto è lasciar andare l’ansia per il risultato,

perché a questo fa immediatamente seguito la pace.”

(Bhagavad Gita 12:12)

L’etichetta britannica All Tomorrow’s Parties, fondata da Barry Hogan nel 1999, oggi ha all’attivo ormai soltanto una manciata di artisti indipendenti di rilievo, tra cui Bardo Pond, Mars Volta, Minutemen e Scientists.

Nei primi Duemila, invece, la vivacità della sua proposta musicale rappresentava un’anomalia interessante, un connubio strano di musica per gente pensosa con occhiali spessi e barbetta, comunque ben riuscito e che si abbandonava ad una sperimentazione piuttosto inusuale per le sonorità post-rock che, via via, si stavano cristallizzando in un sottobosco di etichette experimental-folk dal destino più fortunato, ad esempio la celebre 4AD (The National e Deerhunter), Ninja Tune (The Cinematic Orchestra) o, negli USA, Jagjaguwar che ebbe la fortuna di etichettare il primo Bon Iver, praticamente già autoprodotto, data la poetica low-fi che contraddistingue quel tipo di dischi.

Il gusto per la registrazione ambientale, la ricerca di una sonorità acustica intimista sui sentieri della musica da camera improvvisativa e dilatata di derivazione classico-sperimentale, così come prodromi di computer-aided-music, portarono Dave Cerf (Lorelei), Erik Hoversten e la violoncellista Dominique Davison a fondare un progetto californiano strumentale piuttosto atipico con lo pseudonimo Threnody Ensemble, la cui caratteristica di “lamento” (“threnody”), avrebbe sortito la loro unica e interessante uscita in studio: “Timbre Hollow”.

Il disco, sicuramente cervellotico e molto lontano dai riflettori, negli USA non ebbe alcun tipo di recensione positiva. Arrivò comunque sulle pagine musicali del Guardian con una piccola nota in cui si utilizzarono alcune parole esemplificative e poco eufemistiche quali “mild nausea” o “frustratingly average record”.

Nel nostro paese non è esistito alcun tipo di interesse riguardo ai Threnody Ensemble, nemmeno retrospettivo. In ogni caso, in maniera puramente fortuita, nel 2002 il gestore del reparto musica dello store ex Mel Bookstore di Ferrara, in centro storico, decise evidentemente di prendersi una pausa dalla heavy rotation di Shakira e Las Ketchup, allora in vetta, e, considerando che a quei tempi, quasi nel secolo scorso, i commessi avevano barbetta, occhiali, cuffioni e ti facevano ascoltare su richiesta i dischi che portavi alla cassa, decise coraggiosamente di passare in stereo filodiffuso Timbre Hollow dei Threnody Ensemble a volumi impensabili.

L’effetto fu immediato: reparto musica deserto. Un’idea così malsana di proporre al grande pubblico, in un negozio generalista, un disco strumentale con sovrapposizioni armoniche e rintocchi di piano a costeggiare una progressione basata sul timbro di risonanza del legno, come fosse un La Monte Young per chitarra acustica, ripetitivo nella struttura e con un pigro lirismo di fondo, non fece altro che confermare quello che sapevo ormai da molti anni: prima o poi i reparti musicali delle librerie sarebbero morti. Peccato, perché invece quel pomeriggio decisi di comprarlo, il cd.

Aveva aperto qualcosa nella mia mente. Aveva aggiunto un po' di magia, mi incuriosiva e tuttora, quella copertina color caffellatte, con gli accordi scarabocchiati di quel disco oscuro e pretenzioso, campeggia ancora oggi dalla mia libreria a farsi dedicare un’occhiata e qualche ascolto.

Ci sono tanti difetti e non ha nessuna pretesa commerciale, ma questo è un bene, a conti fatti. Oggi pensiamo sempre a un’idea di eccellenza in musica che si avvicina troppo alla perfezione formale. In passato, invece, si poteva produrre qualcosa tanto per vedere come va, che suono ha, e magari accorgersi di avere ampliato il discorso di un filone, di un’idea, di un genere.

Poi, ci penseranno altri a raccogliere il testimone, mentre ci aggiriamo tra gli spazi per la musica all’interno di un negozio ordinato e aggiornatissimo, senza uno straccio di consiglio da parte di nessuno e tantomeno di commessi con la barbetta che, deliberatamente, scelgono di fare ascoltare, in un pomeriggio qualunque, alternative alla heavy rotation imperante o, in sempre più casi, alternative al silenzio.

Elenco e tracce

01   Tharoman (Formerly Valerie White) Part I (04:17)

02   Tharoman (Formerly Valerie White) Part II (06:45)

03   Tharoman (Formerly Valerie White) Part III (12:23)

04   Somewhere Near Denton (06:25)

05   The Machine (11:05)

06   Tension As Opposed To Tension (14:49)

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