Non avevo mai letto nulla di Tiziano Terzani.

Nella mia fervida immaginazione, ma sarebbe meglio dire crassa ignoranza, immaginavo fosse una sorta di Maître à penser alla Osho in salsa tricolore: forse le immagini che lo ritraggono nella sua fase più adulta, quelle con incolta barba bianca, mi hanno indotto in fallo.

A dir la verità non so bene cosa propugni neanche Osho: ma tant'è.

Ammetto che non mi appassionano le filosofie e/o cosiddette confessioni religiose: i sacri testi induisti, cattolici, musulmani, raeliani e/o Mazingazetani mi lasciano sostanzialmente indifferente.

Quel poco (e male) che ebbi modo di approfondire in ambito pseudo-accademico ha consolidato qvesto mia agnostico terrestrismo: devo anche dire che da bambino adempiere alle sacre funzioni di chierichetto mi aveva (anche) divertito: la tunica mi slanciava.
Per uno alto un metro e quaranta - o poco più - non era cosa da buttar via.

Ma presto il giuoco era diventato ripetitivo, stucchevole e nel giro di qualche tempo abbandonai il saio per divenire un acerrimo seguace della (costosissima) setta degli Space Invaders: gli adepti erano rinchiusi nella attigua cripta dell'Oratorio a latere.

In nome della fede gli uomini (le donne meno: si sa che hanno sempre avuto una marcia in più) hanno perpetrato scientificamente le più efferate malvagità e i peggiori scempi a danno di quelli che dovevano essere i frutti, se non proprio la stessa estensione della natura di Dio: gli esseri umani.

Costrutti di improvabile derivazione cèleste dovrebbero quotidianamente instradarci nel retto cammino della vita.
Io da sempre preferisco Zagor.
O, nei momenti di maggior rigore ascetico, Tiramolla.
Ma rispetto chi si diverte di più col Deuteronomio.

Le saccocce (più modernamente: conti in banca) sempre più gonfie di coloro che si autoproclamano discepoli e divulgatori inducono a pensare che le cose, in realtà, non stiano esattamente così come Essi pontificano.

Solo che a questo punto non mi ricordo più cosa volevo dire di qvesto libro di Terzani.

Per farla breve: il libro è un lungo e appassionato colloquio/confronto a due (a volte c'è anche il gatto, ma non partecipa attivamente al dibattito) con il figlio Folco, con il quale Tiziano ripercorre la Sua vita e la sua attività di "giornalista" - peraltro a più riprese si intuisce che non si sia mai sentito realmente tale - segnatamente il Suo ultimo lascito non solo letterario.

Quel che mi è parso di capire da queste quasi 500 agili paginelle è che era (e forse rispettando il suo improbabile credo, lo è tuttora) un curioso esploratore di mondi diversi e sconosciuti.
All'epoca ancora più insondabili di oggi.

Ma aldilà di questo, il libro forse mi è piaciuto perchè è quello che, in fondo, io non ho mai avuto il coraggio o l'occasione di fare.
Parlare davvero con mio padre.

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