Una musica che fa star bene con se stessi quella dei Traffic. Uno splendido esempio di contaminazione stilistica, che non riesci a classificare, perché sfiora quasi ogni genere e nel contempo non ne viene assorbito da alcuno. Ma soprattutto un caleidoscopio di sensazioni che penetrano nel cuore e nell'anima.

Steve Winwood è il leader indiscusso del gruppo, ragazzo prodigio del rock britannico ed artista poliedrico, che si muove con la medesima abilità tra i tasti d’avorio e la chitarra. Ma che sa fare la differenza anche con la sua voce calda e dalla timbrica fortemente “black”. Ad affiancarlo il compagno di sempre, Jim Capaldi, che da dietro le pelli comanda la propria tribù ritmica, formata dal batterista Roger Hawkins, dal bassista David Hood e dal percussionista africano Reebop Kwaku Baah. A completare la tavolozza i ricami fiatistici del talentuoso Chris Wood.

I Traffic hanno già sfornato nel 1970 il capolavoro della propria carriera musicale, l’acclamato “John Barleycorn Must Die”. Con i dischi successivi il gruppo decide di spostarsi su nuove sonorità, abbandonando le prevalenti tinte folk per abbracciare una sorta di soul rock con arrangiamenti jazzistici. Ma come già accennato la “traffic jam”, questo ingorgo musicale, non è una musica dalle facili definizioni. “Shoot Out at the Fantasy Factory” esce nel 1973 ed è il lavoro che preferisco di questo nuovo corso, con la sua straordinaria varietà e freschezza. Il disco è composto da cinque lunghi brani, che accompagnano l’ascoltatore in frequenti escursioni strumentali, tre dei quali li ritengo tra le migliori composizioni in assoluto prodotte dal gruppo. La title-track apre le danze con le percussioni in primo piano, un giro di basso ammaliante e la chitarra a storpiare il più famoso riff della storia del rock. E’ un brano dal groove travolgente, nonchè l’episodio più duro del disco. Anche nella seguente “Roll Right Stones” è la sezione ritmica a farla da padrona, il motore che alza ed abbassa i livelli emozionali del brano. Piano ed organo a braccetto in un arrangiamento intricato e il sax a lanciarsi in divagazioni free-form. Una malinconica chitarra acustica introduce invece “Evening Blue”, delicata ballata ricca di chiaroscuri. La voce sofferta di Winwood, carica di pathos, ci accompagna in un’altalena di emozioni.  
Segue lo strumentale “Tragic Magic”, sorta di lunga improvvisazione jazz-rock disegnata sul sax di Wood, tra delicate pennellate e distorsioni wah-wah. L’atmosfera allegra di questo pezzo ci prepara all’ultima traccia del disco, probabilmente la più bella. “(Sometimes I Feel So) Uninspired", nonostante il titolo fuorviante, è una ballata ispirata che affonda le proprie radici nel rhythm & blues. La voce di Winwood ancora al centro dell’attenzione. Dolce e intensa, ma allo stesso tempo lirica e malinconica. Splendido l’assolo di chitarra nella parte centrale.

Sfumano le note e solo ora ci accorgiamo del tempo che è passato, quaranta minuti scarsi tra ritmiche avvolgenti e suoni passionali. La sofferenza di fondo dei testi si mescola alla irresistibile voglia di vivere della terra dove viene registrato questo lavoro, la Giamaica. E il risultato è questo disco dal sorprendente contenuto melodico ed armonico, sempre in bilico tra gioia e dolore, realtà e speranza. Una musica che fa star bene con se stessi quella dei Traffic.


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