Tricarico è un cantautore davvero originale. Viene persino difficile definirlo un vero e proprio cantautore nel senso canonico del termine, soprattutto se lo si rapporta a quelli italiani. I suoi soliloqui, quelli del primo album, pur nella loro apparente dose di nonsense e rime cuore-amore ripescate direttamente dal nostro tradizionale modo di fare canzoni, colloquiava solo a distanza prossemica verso questo mondo musicale che tutt'oggi ci risulta falso, monotono e squallido (quello degli Gigi D'Alessio e dei neomelodici, per intenderci). Andare a Sanremo è stata per lui  una costrizione della casa discografica alla quale il diretto interessato era consenziente, forse deluso dalla poca promozione del suo secondo album "Frescobaldo Nel Recinto", opera che mi appresto a recensire.

Dopo l'enorme successo del singolo d'esordio ("Io Sono Francesco") e gli excursus naif elettronici del primo omonimo album, a cui ha fatto seguito il tour del 2002 come supporter di Jovanotti, Tricarico fa leva su un sound più "suonato" e di derivazione reggae/soul, fagocitato dall'influenza dovuta dai due produttori Patrick Benifei (Casinò Royale, Soul Kingdom) e Fabio Merigo (Reggae National Tickets). Tuttavia il lavoro non si discosta troppo dagli standard dell'autore milanese, e pur con meno elettronica, riesce a riprodurre perfettamente (ma con meno incisività) gli stilemi testuali già collaudati e messi a fuoco in "Tricarico". I titoli dei brani, sono sempre molto brevi e in alcuni casi ogni titolo appare sfocato rispetto alle impressioni che il pezzo comunica attraverso immagini allegoriche o tramite l'enunciazione di semplici narrati fiabeschi in prima persona (come in "Ragazza Little", quasi un rilettura moderna di "Cenerentola"). Per esempio, non si capisce il motivo per cui l'ultima traccia è intitolata ad un "Sommergibile Blu" e non ad un castello medievale (recintato?), residenza metaforica di Tricarico il quale ne è sovrano, invasa da forze maligne che lo costringeranno all'arresa e alla morte. Quest'ultima traccia sembra riassumere un po' il titolo di tutta l'opera: "Frescobaldo" è il soprannome di Tricarico datogli da un amico, il "recinto" è invece l'area circoscritta in cui si muove l'artista, quasi un piccolo impero interiore (rappresentato dal castello nella suddetta "Sommergibile Blu") dove si rivelano continuamente ideali (il palese disprezzo per la caccia, fomentata dall'impudico desiderio di denaro in "Animali"), candidi ricordi (l'ansia del matrimonio in "Sposa Laser"), reminiscenze di vecchie fiabe ("Ragazza Little") e flashback infantili ("Mamma No", "Cavallino").

"Acquedotto Fosforescente" è uno pseudo-ska divertente ed orecchiabile, "Formiche" è il punk riletto e filtrato da Tricarico che lo pregna di un testo assurdo e assurdamente profondo. "Cielo Rosa" e "Ogni Giorno" sono dei semplici riempitivi, noiosi e che ricalcano schemi sintattici già triti nella poetica Trichiarichiana.

Proprio questa ripetitività di fondo distoglie l'attenzione dagli elementi positivi che offre il disco e fa sì che "Frescobaldo Nel Recinto" sia nel complesso un mezzo passo falso nella carriera del cantante, un lavoro che sicuramente attinge (forse fin troppo) dalle sue esperienze personali (cosa che aveva reso magnifico il meta-Barrettiano "Tricarico"), ma che nella sua riproposizione di "vecchie" cose e aggiunta di "nuove", sposta il baricentro più sulle vecchie senza però trovare la magia dell'album d'esordio. Si riscatterà stilisticamente con il successivo e ben più acclamato "Giglio", segnato da una svolta pop/rock precisa e coerente, ma a discapito dell'originalità.

Voto: 3 e mezzo di simpatia

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