Questa non è una recensione.

E' solo una lunga opinione.

Come fare a distinguere buona musica da cattiva musica? Non esiste risposta definitiva, perché saremo costretti a trovare per forza una definizione, recintare qualcosa in maniera esaustiva. Eppure è d'obbligo partire con una semplice premessa se vogliamo tentare di dare una prova all'autenticità della musica di Tricarico: agire cercando in ogni modo di osteggiare gran parte dei pregiudizi che ci impediscono di dare un giudizio sufficientemente ponderato, e ottenuto tramite un necessario ragionamento che definirei di tipo "concettuale".

La premessa è che viviamo, nostro malgrado, in un'epoca di grande confusione, dove il concetto di artista, se oggi dovessimo considerarlo, è in disuso. Artista è una parola che non significa più nulla di concreto; I sinonimi hanno preso il sopravvento (designer, stilista, ecc...cantante, produttore, tecnico del suono, in musica). Vi è dunque un processo di continua ridefinizione generatasi perché nessuna definizione è veramente esaustiva.

Si è detto tutto su Francesco Tricarico, milanese; che è stonato, che scrive canzoni infantili e senza senso, che fa il finto sfigato per avere successo.  A coloro che non hanno avuto l'accortezza di ascoltare il suo primo album perché troppo impegnati a sparare a zero sulla sua opera e sulla sua persona, invito gentilmente a procurarselo. Può non piacere, questo è certo. Ma, secondo la mia modesta analisi, se questo non dovesse piacere il motivo è rintracciabile senz'altro nella scarsa percezione dell'ascoltatore. Il "sentire" (che è cosa diversa dell'ascoltare) è propedeutico al "gustare". Quando questo sentire si raffina, il gusto subisce, ma deve necessariamente riorganizzare con memoria associativa - cognitiva i tanti elementi affastellatasi come in un mosaico; Si entra nel giro di perfezionamento del gusto. Questa potrebbe essere la spiegazione per cui i brani di Sanremo, indipendentemente dalla loro "reale" qualità, non piacciono mai alla prima serata (ho fatto l'esempio più banale).

Tricarico non sa cantare. Ma a suo modo, è un'artista. L'arte ha come finalità la bellezza, ma oggigiorno anche il brutto, il disarmonico e il disgustoso sono categorie estetiche. Ci sono, e piacciono. Le sue stonature, come ha sottolineato un giornalista qualche anno fa, in occasione della sua partecipazione al Festival di Sanremo 2008 <>. Queste parole, pubblicate in un blog, avevano connotati denigratori; ma se scardinati, lasciano comunque immutata la sostanza. Evidentemente, chi non apprezza il cantautore milanese (mi duole utilizzare la parola cantautore, lo faccio per dare un'idea della categoria a cui è stato destinato), non è un'artista, o un cultore dell'arte. Ma solo della musica commerciale, o a tutti i costi "underground". Solo gli artisti veri, infatti, fanno sì che la percezione sensibile diventi genialità, che intelletto e immaginazione collimino in un unico punto comune.

 Veniamo al disco. Questo uscì nel 2002, dopo una serie di singoli pubblicati nei due anni precedenti. L'intento di Tricarico era di pubblicare solo singoli; Essi erano concepiti dall'autore come "mondi a parte" e i discografici rimasero molto perplessi di questa scelta singolare. Probabilmente l'enorme successo del singolo d'esordio ("Io Sono Francesco") gli permise di prendere decisioni ad ampio raggio, senza particolari pressioni dalla casa discografica. 

L'opening track "Il Caffè" delinea molto bene la forma del disco. E' un brano pregno di immagini avveniristiche, eppure apparentemente semplici affinché l'aggettivo precedente possa andar bene. Stupiscono i contenuti criptici ed insoliti, forse non completamenti compiuti, la capacità di toccare le corde profonde dell'anima con un lessico semplice e ripetitivo. La musica è un'elettronica catchy ed ingenua, che verrà reiterata con sfumature sempre più naif per tutto il corso dell'album. "Musica" è l'apoteosi del Tricarico-pensiero. E' il raro caso, nella musica leggera, in cui la forma diventa essenza stessa del linguaggio. <<La verità è che l'amore mi ha bruciato, quand'ero piccolo l'amore mi ha scottato, e ora sono seduto sul mio prato, a guardare le stelle nel cielo>>. L'armonia di fondo stride un po' con la cantilena di Tricarico, ma è proprio questo contrasto che genera perle di autentica bellezza. Nella dimensione live questo contrasto è più evidente, e i pezzi sono paradossalmente più emozionanti.  "Io Sono Francesco" è un necessario biglietto da visita. Nel ritornello figurano in controluce delle reminiscenze lo-fi, ma è tutta un'illusione, le ambizioni del brano sono di natura "cantautoriale", rilette e filtrate attraverso il pop elettronico. Non a caso Francesco De Gregori né elogiò il testo. "Aeroplano Giallo" è la più Barrettiana del lotto. Ma a prevalere sulle musiche sono i testi. Le successive "Drago" e "Neve Blu" sono la dimostrazione che la forza di Tricarico non sta nella fantasia, ma nell'immaginazione. Immaginazione, dunque, come produttrice di immagine, caratteristica che permette all'intelletto di Tricarico di organizzare la sua conoscenza. E questa appare sin dà subito disordinata e confusa; l'aneddotica di "Occhi Blu" avanza ipotesi di metempsicosi e la conclusiva "Stupido Pio Pio" si fregia addirittura di un testo che è tutto un ordinario di gesti e situazioni oniriche, e per diretta conseguenza, assurde: <<Io, io sono Dio, ma com'è che ora piscio le carote? Stavo in un cesso con la testa contro il muro, si son Dio ma sto morendo, mi sto proprio sfracellando>>. Quale altro cantante italiano interpreterebbe frasi del genere senza provare un minimo di vergogna? Ma l'acme lo raggiunge la sublime "Lavanda"; parte come un reggae scanzonato con un testo agreste profumante di erba, fiori e campi di carote, sfocia in un ritornello orecchiabile, diventa infine un trip malinconico scandito dalle chitarre elettriche (caso unico in tutto il disco). Suona come una meravigliosa e mai del tutto lucida metafora della droga, vista dagli occhi di un drogato.

Le persone che hanno avuto la pazienza di leggere quest'opinione fino alla fine, avranno sicuramente capito che questo autore gode di tutta la mia stima e ammirazione. Le sue canzoni sono piene di difetti, ma hanno ciò che fa arte in un'opera d'arte. La sua musica è il riassunto della sua vita, i suoi testi in prima persona l'emblema del suo mondo. Che poi, a rifletterci, è pure il nostro, quello in cui viviamo. Perché Tricarico non ha inventato nulla, e non inventerà mai nulla. Non crea. Ha solo delle intuizioni, e ci lavora su. E' attivo perché prende a piene mani dal mondo in cui vive, passivo perché questo mondo gli dà gli strumenti per esercitare la sua arte. Questo mondo interiore dal momento in cui è dato in pasto al pubblico, diventa di tutti. E come in un viaggio, che una volta giunti alla meta restiamo delusi, perché l'architettura di quella città che visitiamo è identica a quella in cui viviamo, così il mondo che Tricarico ci regala, seppur folle e stralunato, non è poi così dissimile dalla nostra quotidianità.

Con questo primo disco, Tricarico confeziona la sua opera migliore (il successivo "Frescobaldo Nel Recinto" è di gran lunga più debole, "Giglio" pur nella sua intrinseca bellezza rasenta il mainstream) ed entra a pieno diritto nella rosa dei migliori cantautori del nuovo millennio.

Pardon, artisti.

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