Se hai una ragione sociale come Tropical Fuck Storm e un titolo come Braindrops, beh allora devi esserne all’altezza. Se poi aggiungi il pasticcio cromatico della copertina diciamo che, come minimo, ti aspetti il caos e il caos, caro lettore, è esattamente quello che trovi qui. Sarà che dai brutti sogni vengono le canzoni migliori, sarà che creare e allo stesso tempo distruggere è da sempre uno dei trucchi estetici più efficaci. Quindi la faccenda è pressapoco questa: si parte da un’idea generale, si improvvisa, si arriva a qualcosa e poi quel qualcosa si fa di tutto per rovinarlo. Insomma è musica dove non si toglie, ma si aggiunge, questo con quello, quello con questo, cacio sui maccheroni, capra e cavoli, etc etc etc. Poi, quando si vuol proprio esagerare, ecco che qualcuno sgancia una bomba per guardare di nascosto l’effetto che fa. Il meglio son certe ballate sotto costante aggressione, la più bella di tutte si chiama Maria 63.
Maria 63 è talmente sgraziata e storta che non puoi far altro che chiederti come diavolo faccia a stare in piedi. Poi, visto che a dispetto di tutto, in piedi ci sta eccome, capisci che il suo segreto è proprio quel passo lunatico e ciondolante grazie al quale riesce a scalare montagne talmente emotive e talmente a un passo dall’eccesso che, se anche da un momento all’altro ti aspetti il patatrac estetico, beh quel patatrac non arriva mai. Poi non so se è blues, non so se è folk, oppure entrambe le cose, oppure vattalepesca. So però che questa roba stracciatissima ti tiene appeso a un filo con la tensione che non fa altro che crescere, fino a quando al vocione ineducato si affianca un canto di fanciulle e il risultato è uno sballato yin e yang quasi gospel, fai conto un alleggerimento verso il cielo, fai conto qualcosa che sale, al punto che addirittura entrano gli archi, anche se poi è solo un attimo, che subito dopo arriva il caos, ovvero il crollo, ovvero il rumore, cosa che, garantisco, da una certa soddisfazione. Placatosi il tutto, sugli archi rimane appena un ronzio poi nemmeno più quello; venti secondi di musica da camera e alla fine un aereo che passa come una scoreggia nel cielo.
Maria 62, antefatto di Maria 63, è un’altra ballata bella stravagante. Io penso sia stata registrata sulla luna, oppure di notte sui calanchi vicino a casa mia, oppure ancora dentro la testa di un tizio in preda a “un sogno in cui non dorme da settimane”. E, esattamente come quel tizio, un suono di chitarra acida sembra cercare il suo senno, oppure cercare lei e, cavolo, è tutto un vagare tra incantesimi e contro incantesimi e, in questo, niente di strano, lei è una strega nazista immortale e lui un agente del Mossad, la storia si sviluppa poi in Maria 63, ma col piffero che vi dico qualcosa di più.
“Deserts sands of Venus”, è una magnifica stramberia, collocata come interludio tra “Maria 62” e “Maria 63”, fai conto una chitarra assurda persa nella melassa appiccicosa del cielo o, come da titolo, impantanata nelle sabbie di Venere. Insomma, un brutto trip del nostro agente del Mossad, che però, una volta ripresosi, giungerà a Buenos Aires in un giorno di pioggia, perché è li che si è rintanata l’immortale strega nazista, altro che Aldebaran dove, secondo quei gonzi degli esoteristi, sarebbe fuggita dopo la morte di Hitler. Ah, questa in verità non è una ballata, ma uno strumentale suonato da ubriachi.
“Esce dal cancello come un cavallo da corsa asmatico”, dice un tizio in rete a proposito di “Paradise”. Al tizio il disco non è piaciuto e la frase dovrebbe essere perculante, solo che poi, vedi un po’ come va il mondo, a me sembra invece un gran complimento. Non solo è anche piuttosto esatta perché effettivamente “Paradise” esce dal cancello come un cavallo da corsa asmatico. Immagina un blusaccio lento con il vocione più storto che si può, poi immagina l’assurdo più totale e il caos più efferato, e giuro che io, pur avvezzo alle cose strane, la prima volta ho detto “ma dai, ma non si fa”, salvo poi cambiare idea. A volte accade che l’inascoltabile e il meraviglioso si incontrino a metà strada.
“Aspirin” parte con dei tonfi e una chitarra che si muove come un serpente ipnotizzato o un marchingegno inceppato e avanza come il senso di nausea di quando gli ospiti indesiderati bussano alla tua porta. E’ il caro vecchio antidoto alla vita bastarda e suona vera come tutte le “botte” che hai preso. Ok, con le ballate abbiamo finito.
Il resto, parimenti un casino, parimenti una meraviglia, è un calderone ribollente sul fuoco di un groove come minimo pantagruelico. Prendi tutte quelle meraviglie di fine settanta dove si mescolavano punk, funk e stranezze varie, prendi il capitano, prendi Felakuti in acido, aggiungi l’istinto bastardo, l’energia dei dannati, la risata salvifica e il buco del culo del mondo. Ah, ultima nota di merito: l’altalenarsi, il rincorrersi, il mescolarsi di voci maschili e femminile è meraviglioso e stordente.
Infine torno su Maria 63 che, anche se così strana, è quasi classica, se non addirittura epica. Parla di tutta la merda esoterica che viaggia sui siti internet di estrema destra, l’immortale strega nazista altro non sarebbe che una fake news. Ma come si fa, partendo da una fake news, ad arrivare all’epica? Boh, forse bisogna esserci nati. In ogni caso grande è il disordine sotto il cielo.
Trallallà...
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