Quando arriva giugno, per qualche motivo imprecisato, mi viene una grande voglia di camminare. Davvero, sono un ciccione di merda con la mobilità di un idrante soprassuolo, ma inevitabilmente l'arrivo di questo mese (che, tendenzialmente, segna anche la fine dei cazzo di pollini primaverili che mi fanno starnutire ogni mezzo secondo) mi fa diventare una sorta di Alex Schwazer (rispetto ai miei ritmi intrattenuti di solito). E così, questo 2 di giugno, all'alba delle 8, mi sveglio, mi lavo, preparo il mio zaino con la roba da bere e parto. Cammino per circa 10 chilometri, e passo davanti al negozio di dischi dove di solito vado a fare spese. E ci entro. Sudato, ricoperto di moschini di merda e in condizioni pietose. E dopo un'ora di inutile vagare (come faccio sempre, senza pentirmene), ormai stufo, faccio: "Senti, non è che hai l'ultimo di Elio? Sai, non vorrei comprarlo, ma va a finire che non lo ascolto più". Al che lei fa, totalmente a caso: "No, ma guarda che ho questo che dicono che sia bello", e tira fuori da sotto il bancone un album la cui copertina mi ispira e non poco. "Andato".

Torno a casa, mi tolgo lo zaino dalle spalle e prendo in mano il disco, nuovo. Lo annuso, perché, come ogni buon musicofilo, ho il fetish della plastica, e lo scarto. Guardo meglio la copertina e vedo le scritte "Twenty One Pilots" e "Blurryface". E qualcosa si accende nella mia testa. Eccerto, sono quelli che hanno scritto quella fastidiosissima canzone, "Stressed Out". "PORCA TROIA MI HA TIRATO UN'INCULATA QUELLA MATTA DI MERDA". E, deluso, abbandono il disco sulla scrivania per non ascoltarlo mai più.

Maddai, santo Dio, è chiaro che l'ho ascoltato dopo, ci sto facendo una recensione, che cazzo faccio il drammatizzatore (drammatizzatore? È una parola?)?

In ogni caso, stavo dicendo, posato il disco sulla scrivania, penso addirittura all'opzione di regalarlo a un qualche mio amico. Tanto è sempre pieno di sommelier della merda. Ma, questo venerdì, dopo aver ascoltato per l'ennesima volta il live di De Andrè con la PFM (fra parentesi, consigliatissimo), vedo il povero lavoro del duo americano giacere inerme sulla mia scrivania, diventata nel corso della settimana un covo di vestiti sporchi e altre cose di natura non meglio determinata. "Ma sì, diamogli un'occasione", dico alta voce, perché probabilmente sono parecchio matto pure io. Non l'avessi mai fatto. È da quattro giorni che non ascolto altro, e anche ora il mio stereo sta facendo scorrere le canzoni di questo "Blurryface".

L'impatto iniziale è potentissimo, con "Heavydirtysoul", che rappresenta, secondo me, un'inusuale partenza in un album che dovrebbe essere "pop rap" (qualora queste etichette significhino qualcosa), con un rappato velocissimo e tagliente condito da un refrain paradossalmente catchy e memorabile. E il resto dell'album non è da meno, ed è incredibilmente variegato, o almeno, molto più di quanto possiate sperare. I momenti di noia sono rarissimi (e furbescamente lasciati nel mezzo dell'opera, in cui comunque si trova "We Don't Believe What's On TV", una delle tracce migliori del lotto. Chiamali stupidi), e ci si avvicina alla fine sempre più soddisfatti, con l'amaro che, almeno nel mio caso, abbandona lentamente la bocca. E a questo punto l'inaspettato. Dopo circa 50 minuti di spensieratezza, arriva "Goner", canzone struggente e intensissima nella sua delicatezza, un inno alla disperazione, ma nello stesso tempo alla possibilità di rivalsa, alla vita. E poi basta, sono troppe righe che non scrivo una parolaccia perché ho la lacrimuccia e scrivo come una dodicenne di fronte ai suoi idoli musicali, pensando che, in fondo, nemmeno "Stressed Out" è tanto male. Vaffanculo.

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