Gli U2 sono invecchiati male.

Artisticamente, certo, ma anche a livello mediatico. La forzatura promozionale (complice la Apple) di “Songs Of Innocence” ha dato un colpo definitivo alla popolarità della storica rock band, così come la qualità intrinseca della proposta musicale, in netto calo dopo la ripresa mostrata tra le note dell’ambizioso “No Line On The Horizon”.

Escluso un grande singolo come “Every Breaking Wave”, “Songs Of Innocence” era un disco confuso, raffazzonato e poco incisivo, anche più del bistrattato “How To Dismantle An Atomic Bomb”, ormai vecchio di dodici anni e che perlomeno, nonostante l’incredibile minestrone produttivo, offriva qualche grande pezzo entrato a far parte dei classici della band. Insomma, questo disco “compagno”, “Songs Of Experience”, esce a tre anni dal precedente “fratellino” e, per la prima volta, senza il solito strombazzamento mediatico, segno inequivocabile di quanto detto ad inizio recensione.

Se il sufficiente singolo “You’re The Best Thing About Me” sembrava preannunciare un ritorno all’asciutto stadium rock di “All That You Can’t Leave Behind” (senza però la spinta propulsiva di “Beautiful Day”, né l’afflato soul di “Stuck In A Moment” o il ritornello stellare di “Walk On”), il resto dell’album segna un’ennesima, piccola svolta nel tessuto sonoro di Bono e soci e contemporaneamente un parziale risveglio dal torpore del precedente “Innocence”.

I passaggi a vuoto purtroppo non mancano, e sono abbondantemente presenti anche qui: “American Soul”, ad esempio, è un alt rock che parte col piede (ed il riff) giusto, ma si perde quasi subito nell’ennesimo tentativo di replicare l’impatto di “Vertigo” (ultimo singolo commercialmente rilevante della band, e stiamo parlando ormai del lontano 2005), andando a rievocare la pessima “Volcano” del disco precedente. A poco serve il tentativo a mò di propellente dell’ospite Kendrick Lamar, che ricambia il favore a livello di collaborazioni (gli U2 hanno partecipato ad “XXX”, brano dell’ultimo “DAMN.”) ma non aggiunge nulla di rilevante. Così come la traccia promozionale “Get Out Of Your Own Way” suona classicamente U2 e continua nella riproposizione degli stilemi di “Leave Behind”, ma al solito senza la spinta giusta.

Altrove si trovano anche cose buone: dopo l’opener “Love Is All We Have Left”, un etereo tappeto di tastiere ove si poggia un Bono a metà tra Bon Iver e il gusto per il vocoder di Kanye West, troviamo una “Lights Of Home” finalmente vitale, a metà tra un rock acustico ed il gusto tipicamente U2 del refrain. “Summer Of Love” è un buon pop, che funziona abbastanza, sufficientemente moderno e graffiante; ma la sorpresa è la bellissima “Red Flag Day”. Finalmente un pezzo ricco, ispirato, che recupera l’attitudine sbarazzina dei primi U2 con il giusto filtro attraverso la maturità acquisita. Davvero bella. Idem “The Blackout”, il pezzo più uptempo ed aggressivo del disco, e “The Showman (Little More Better)”, persino kinksiana (!) nel suo incedere. “Landlady”, “The Little Things That Give You Away” e “Love Is Bigger Than Anything in Its Way” sono ballad tipicamente U2 e (seppur gradevoli) non aggiungono niente, la chiusura “13 (There Is A Light)” non è altro che una riedizione di “Song For Someone” dal precedente lavoro.

“Songs Of Experience” è un mezzo passo avanti, per quanto ormai Bono e soci probabilmente stiano vivendo un’ingessatura artistica ormai irreversibile. Vedremo cosa decideranno in futuro, e se arriveranno ulteriori segni di una vitalità artistica che sembra ormai quasi del tutto compromessa.

Miglior brano: Red Flag Day

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