Ultra Vivid Scene
Ultra Vivid Scene

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Voto:

Cio' che mi fa maggiormente apprezzare la discografia e' la condizione che spesso mi obbliga alla "riscoperta": non possedendo l'intera mia collezione di vinili nel posto in cui vivo per motivi di spazio, avendola sparpagliata in passato in luoghi lontani dove ancora giace, da diversi anni non faccio che imbattermi in dischi che ai tempi avevo acquistato, ascoltato e memorizzato, con la logica conseguenza, ma solo nel caso di prezzi molto abbordabili, di un immediato rimpiazzo, possibilmente una stampa diversa per evitare il solito doppione.

Nel caso dei CD la faccenda e' decisamente piu' complessa: ormai le versioni Expanded hanno soppiantato le prime stampe, e spesso sono infarcite di roba inutile come Alternate Tracks, Edit Versions e registrazioni Live sulle quali anche una mega rimasterizzazione puo' ben poco. Cio' che attira la mia attenzione e' l'inserimento di 45 giri inediti, B-Side e versioni 12", questa, pero', posso considerarla un'eccezione, e sono bastate poche variazioni per convincermi a rispolverare un qualcosa di cui sentivo l'assoluto bisogno di riappropriarmi.

Un esordio da solitario in studio  e' un lasciapassare ambizioso, non privo di certi rischi, cosi' deve averla pensata Ivo Watts-Russell, patron della prestigiosa 4AD, nel pieno della sua espansione oltreoceano: la sua proverbiale lungimiranza aveva colto nel segno con l'ingaggio di Throwing Muses e Pixies, debutti discografici al fulmicotone e un raggio d'azione ben aldila' delle Indie Charts inglesi, ma la sua voglia di stupire era ben lungi dal saziarsi, e nel 1988 prende la strana decisione di scritturare un ragazzino prodigio Newyorkese che aveva da poco sciolto la sua band Crash, un' esperienza di breve durata allo scopo di prendere consapevolezza del poter agire in totale autonomia. 

Per Kurt Ralske l'Inghilterra era un ricordo recente, in veste di segugio nella scena Indie aveva avuto il tempo di annusare dappertutto, attratto principalmente dal terreno Noise-Pop rivoltato di fresco, ricco di particelle organiche plasmate al feedback. Un humus introvabile nell' invano scavare tra le radici della Grande Mela di fine '80 lo porta a chiudersi in un suburbano letargo dove i sogni di ragazzo si sovrappongono ad inconsce perversioni, sesso e violenza, miserabile alienazione allattata da una gialla banana metropolitana a fondo bianco. 

Quando l'abbraccio di Morfeo lascia posto al risveglio, i sogni vengono raggruppati e sviluppati in totale solitudine, all'interno di un appartato studio, ma senza spostarsi troppo da casa: Ivo gli concede carta bianca nel prendersi cura di tutto, produzione compresa, forse nel timore di poter annacquare quell'urgenza espressiva percepita in modo cosi' forte e penetrante. In un paio di mesi da SelfMadeBoy, Kurt lo ripaghera' con quindici dionisiache istantanee.

Capolavoro perduto di Old School Shoegazing, l'opera mostra da subito una maturita' sorprendente nel nervosismo garage di She Screamed, servito freddissimo da un testo modellato nel fango S&M, e nell'ondeggiare post Paisley Underground di Crash, ode all'ossessione da schianto stradale come possibile orgasmo alternativo. Giochi di coppia sul filo della punizione corporale mantengono perennemente sospesa l'atmosfera malata di You Didn't Say Please, come solo i Wire avevano saputo svelarne l'amaro retrogusto.  I due movimenti di Lynn-Marie, posizionati in modo solo apparentemente anomalo, costituiscono una sorta di tributo alla contorta personalita' di Marylin, dallo smagliante sorriso a far capolino dalla sleeve interna.

Kurt possiede una voce dal timbro sottile, difficile da dimenticare e che si attacca come un voluttuoso herpes su arie da psichedelico dormiveglia, ma riesce a farne un trademark assoluto in Mercy Seat, dove per la morte non esiste tregua ( And when the blood begins to flow, there's nowhere else to go, I feel complete, in the mercy seat ), e in The Whore Of God, celestiale nenia dedicata a una donna inarrivabile per ogni mortale ( But a kiss on the lips is far too much for anyone, so kneel and pray until you're sore, you're the whore of god ).  

Dopo una trilogia in evoluzione, nel 1992 Kurt Ralske si rituffera' nell'anonimato facendo perdere le sue tracce, sicuramente pago di una qualita' musicale cosi' elevata. Consigliato agli amanti di Jesus And Mary Chain e My Bloody Valentine, ma anche a chi ha saputo riconoscere una continuita' negli insegnamenti che i Velvet Underground hanno sciorinato ai posteri...una malattia musicalmente trasmettibile.  

 

 

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