Nel 1970 i Van Der Graaf Generator erano reduci dall' album di esordio dell'anno precedente "The Aerosol Grey Machine", un buon disco ma ancora troppo acerbo ed in cerca di una direzione stilistica precisa, tutto cambiò nel giro di pochi mesi con l' entrata nella formazione capitanata dal necromante Peter Hammill del sassofonista David Jackson e del bassista Nick Potter a completare la formazione insieme a Guy Evans (batteria) e Hugh Banton (organo e piano) ed andando a creare con quest' opera il primo gioiello della trilogia di capolavori progressivi che culminerà con l'epocale "Pawn Hearts".
Un soffio gelido di vento si abbatte su di un paesaggio desolato e inerte è "Darkness 11/11" che irrompe prepotentemente con i suoi monolitici giri bassistici a scandire i ritmi strutturati, vorticosi e potenti del drumming, sul sottofondo di suoni di organo cupi, solenni e sinistri, il delirante sax di Jackson e la voce di Hammill si spalleggiano in modo perfetto, voce di Hammill che riesce a variare tra tonalità sofferte e dimesse fino a picchi rabbiosi urlati, tutto ciò senza contare i suoi testi, così atipici per la scena prog dei 70', trattando in modo ermetico e straordinario il disagio esistenziale, la paura, l'angoscia e l' occulto, "Darkness 11/11" si conclude nel caos creato dal sax "violentato" da Jackson. Un dolce suono aleggia leggero e "Refugees" si espande lenta e meravigliosa, malinconica e sognante, la voce di Hammill arriva a sfiorare il divino con un' espressività disarmante e staordinaria, tutta la band si supera in intensità e compattezza, raggiungendo l' apice nel corale e celestiale finale dove la musica stessa va ad accarezzare il viso degli angeli.
Suoni d'organi solenni ed eclesiastici aprono "White Hammer" cupa e incalzante, il basso troneggia senza tregua, Jackson ai fiati è qualcosa di unico, imponendo uno stile che ha fatto scuola nel rock progressivo, straordinarie invenzioni strumentali sorrette dalla voce a tratti furente e a tratti ombrosa e visionaria di Hammill, nella parte finale del brano il suono sfuma e si espande una voragine nera e tetra, una chitarra elettrica crea un vortice sonoro violento e abrasivo seguito dal potente scandire della batteria e raggiunto da un urlante e minaccioso assolo di sax di uno spiritato Jackson.
Lo stile che caratterizza i Van Der Graaf Generator non solo si forma con quest'opera, ma ne rimarrà uno degli esempi più geniali e ispirati di tutta la loro storia, lo stile compositivo di Hammill, gotico, struggente e poetico raggiunge in questo disco una vetta luminosa e straordinaria. L'intensa "Whatever Would Robert Have Said?" incentrata su cambi d'atmosfera e crescendo strumentali mette ancora una volta in risalto il nevrotico sax e la voce di Hammill che spazia senza problemi tra tonalità di ogni genere, il tutto sorretto come sempre da una poderosa e fantasiosa sezione ritmica e da liriche toccanti e intimiste, "Out Of My Book" più breve e meno articolata e tortuosa delle altre composizioni è giostrata su atmosfere rilassate, sorta di quiete prima della tempesta. La sepolcrale "After The Flood" chiude l'album pregna di atmosfere decadenti racconta le sorti di un'umanità sull'orlo del baratro, vicina alla sua fine, il suono è ricco di pieni strumentali, passaggi acustici e maestosi crescendo sonori impregnati da una progressione agitata dall' impatto drammatico, così come la prestazione vocale suggestiva e straordinaria come sempre di Hammill.
Un'opera sinistra, maestosa, profondamente emozionante ed intensa, uno dei più grandi capolavori del progressive e della musica in generale, oltre che essere uno dei maggiori capolavori di questa geniale formazione inglese.
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