Erede di Paolo Conte e quindi, per forza di cose, Tom Waits italiano (eccone un altro). Con questa ingombrante etichetta appiccicata sul groppone fin dai suoi esordi, Vinicio Capossela ha dovuto sgomitare parecchio per affermare una sua identità. Se alla fine c'è riuscito è grazie a dischi come questo, che pur mostrando innegabili legami con i due illustri modelli, ha un'ambientazione e un clima del tutto propri, finalmente (diciamolo) caposseliani.
Sono storie di balordi che ammazzano la notte in qualche modo nel retro di un furgone con le molle rotte, di Mustafà tarantolati dalla nostalgia appena sentono un vento che "viene d'Affrica" come loro, di feste paesane pacchiane ma spassose, di luoghi con nomi che sembrano una burla ("Contrada Chiavicone"), ma con tanto di cartello del Touring Club a testimoniare che esistono davvero. È la provincia italiana, ma quella più viva e acre, reale e contemporanea, ben diversa da quella contiana, un po' addormentata e immersa nei sogni di un passato non troppo lontano, anche se già mitizzato. Caso mai è un mondo più vicino a quello dei disgraziati d'Oltreoceano immortalato da Tom Waits, ma più familiare, alla buona, dove al posto del velenoso cocktail "whisky + droga" ci sono le quarantatrè Peroni che Mastro Sentimento si scola nell'irresistibile "Al veglione", vero concentrato d'ironia e comicità, anche se musicalmente poco più di una marcia bandistica.

Se vogliamo anche "Il ballo di San Vito" non va molto oltre la tarantella, con tanto di tammorre e sonagli, ma questi episodi casualmente folk non devono trarre in inganno: sono tocchi di colore, innesti che vanno ad arricchire ma non a modificare il robusto tronco jazz-blues, con rami in direzione dei ritmi latini, da cui ha origine la musica di Capossela. E qui, più che nei testi, si sente la parentela con l'Avvocato di Asti: basta sentire la splendida, malinconica "Morna", che prende il titolo dalla tipica musica di Capo Verde, ma ricorda piuttosto certi lenti tanghi e milonghe.
Altri preziosi momenti di dolcezza: "Le case", quadretto surreale i cui colori notturni sono magistralmente dipinti da un duetto jazz tra pianoforte e tromba, e "Pioggia di Novembre", con un giro impressionistico di note di pianoforte. Un Capossela raffinato, che non sembra neanche parente di quello dei quadri paesani stile "Al veglione", ma si tratta di un autore poliedrico, di cui resta ancora da scoprire il lato più "waitsiano". Ecco allora "Il corvo torvo", blues d'altri tempi, della serie "non sparate sul pianista", "La notte se ne è andata", blues acido e incazzato, chitarra senza fronzoli stile "Hang on St. Christopher", guarda caso proprio dello stesso Marc Ribot, che suona in tutto il disco. Anche "L'accolita dei rancorosi" con il suo ritmo dondolante e spezzato, da pendolo guasto, e il sinistro sussurro della voce "incazzosa" di Vinicio, appartiene al mondo ideale delle canzoni "sbilenche" di Tom Waits.

E così, citando la voce, sono arrivato al punto dolente, quello che rovina almeno in parte la fantasia, l'ironia e la musicalità di questo nostro autore, purtroppo anche cantante. Quando va bene, sui toni bassi, è afona e impersonale, lontana sia dall'aristocratica raucedine di Paolo Conte che dal diabolico urlo da orco di Tom Waits. Se poi si lancia verso impennate improvvise, viene fuori un mostruoso incrocio tra Topo Gigio e Bruno Lauzi, con prevalenza del primo, e allora puoi cantare i jazz più notturni, i blues più tosti, ma alla fine tutto viene falsato e perde valore. Peccato, perché la musica di Vinicio Capossela non se lo merita.

Elenco tracce testi e video

01   Il ballo di San Vito (03:24)

02   Morna (04:56)

Nel cielo di cenere affonda
il giorno dentro l'onda
sull'orlo della sera
temo sparirmi anch'io nell'ombra
la notte che viene è un'orchestra
di lucciole e ginestra
tra echi di brindisi e fuochi
vedovo di te
sempre solo sempre a parte abbandonato
quanto più mi allontano lei ritorna
nella pena di una morna

e sull'amore che sento soffia caldo un lamento
e viene dal buio e dal mar
e quant'è grande la notte e il pensiero tuo dentro
nascosto nel buio e nel mar
grido non più
immaginare ancor
tanto qui c'è soltanto vento
e parole di allora

il vento della sera sarà
che bagna e poi s'asciuga
e labbra che ricordano e voce
e carne che si scuote sarà
sarà l'assenza che m'innamora
come m'innamorò
tristezza che non viene da sola
e non viene da ora
ma si nutre e si copre dei giorni
passati in malaora
quando è sprecata la vita
una volta
è sprecata in ogni dove

e sull'amore che sento soffia caldo un lamento
e viene dal buio e dal mar
e quant'è grande la notte e il pensiero tuo dentro
nascosto nel buio e nel mar
grido non più
immaginare ancor
quel che tanto è soltanto
vento e rimpianto di allora

il vento della sera sarà
che bagna e poi s'asciuga
e ancora musica e sorriso sarà
e cuore che non tace
la schiuma dei miei giorni sarà
che si gonfia e poi si spuma
sarà l'anima che torna
nella festa di una morna

03   La notte se n'è andata (03:47)

04   Le case (02:13)

05   Il corvo torvo (03:17)

06   Al veglione (03:12)

07   Body Guard (04:42)

08   L'affondamento del Cinastic (02:49)

09   S'agapò (00:26)

10   Contrada Chiavicone (02:32)

11   L'accolita dei rancorosi (03:45)

12   Pioggia di novembre (05:12)

13   Tanco del murazzo (05:11)

Si sveglia male, urla in cucina
fitte alla testa, memoria in rovina
parenti in casa, cinque di sera
tempo scaduto, si alza come c'è venuto
nervi asciugati, metallo in bocca
mette il giaccone, è già nell'angolo di sotto
al bar bigliardi, raduno del grifone
colosso anfibi, tatuaggi di pitone

sussurrano di come nella notte prima
gli altri son scesi come cani da rapina
slegati in squadra a testa china toro toro
hanno spazzato dei rifiuti la banchina
nel gelo di case e caserme s'incammina,
l'aria è strana alza lo sguardo
e sente in alto un grido di poiane
il freddo lo trapassa addosso,
smazza un grammo, allunga il passo
il tipo aspetta dietro il ponte senza fretta

il fiume è giallo, lento fango d'Orinoco
scorre tra i fuochi, gli spacci, i mangiafuoco
scende il murazzo, c'è una macchina bruciata
kebab arrosto e folla a grappoli in parata
le ragazze aspettano di uscire fuori per ballare
e intanto provano le scarpe nuove e ridono da sole
dentro casa, lei lo guarda e resta lì senza parlare
fuori tutto accade anche senza di noi

nel grotto spingono e si bercian Patuan
l'anfe che sale, caldo a fiotti, nervi tesi
Envisia serve al banco acqua minerale
ondeggiano sulle ginocchia tutti uguale
guarda lo specchio e vede in fondo
che per occhi adesso ci ha due buchi neri
e nel riflesso dell'abisso vede il pozzo che era un tempo anima sua

batte una sigaretta arrolla una cartina
mentre da dietro Chiurlo il rosso s'avvicina
sembra l'errore di una spinta alza la voce
è un attimo poi il tempo scorre più veloce
Big Jim lo centra con l'anfibio nel torace
rosso di sangue cade a terra braccia a croce
lo scalcia in faccia quando è steso già caduto
gli arabi scappano nel mucchio chiede aiuto
parte per sbaglio il colpo e fa, come un rumore di petardo
nel festino s'alza lento il volo del grande tacchino
chiude gli occhi e s'avvicina, sempre più vicina
l'ombra lo copre sull'asfalto senza fiato

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