Capossela riesce sempre a trovare un modo anormale e unico per stimolare le emozioni di tutti quelli che lo riescono a sopportare. Certo, il Nostro non è sempre stato così, perché i suoi primi dischi trattavano ancora la più accessibile dottrina “Waits/Contiana”. Rammentiamo allora l’avvento del XXI° secolo, momento della storia in cui il cantautore aveva da poco pubblicato l’innovativo Canzoni a manovella, che imponeva agli ascoltatori un modo singolare e bizzarro di percepire la musica, un modo che divideva il pubblico tra elogi al capolavoro e atti di pura repulsione. Ecco, da quel disco nasceva ferreo il nuovo corso “Caposseliano”, che sfocia oggi in questo strabiliante Canzoni della Cupa, rivisitato in parte dalle monocordi e irresistibili cantilene di Vinicio.

Abbiamo detto tante volte che la qualità è determinata dalla musica e non dai numeri, ma il fatto che questo disco abbia raggiunto la vetta della Superclassifica – scavalcando Zucchero e Renato Zero – resta un dato fondamentale per ravvisare che, una volta tanto, il pubblico desidera retribuire qualità e impegno artistico, piuttosto che l’eterna ed affabile commercialità sonora. Questo transitorio ma rilevante mutamento ideologico diventa un puro atto di fede nei confronti di Vinicio: significa che la sua musica è miracolosamente riuscita ad insinuarsi anche nei più fragili e inesperti apparati uditori. Ma ad onor di cronaca, questa è una storia vecchia di dieci anni: nel 2006 usciva, infatti, l’album più sperimentale e imprevedibile di Capossela; quell’Ovunque Proteggi che poco dopo l’uscita raggiunse anch’esso il primato dei dischi più venduti in Italia. Non è l’unica analogia: Canzoni della Cupa è effettivamente il disco più bello dai tempi di Ovunque Proteggi! E nel decennio che separa l’arrivo di questi dischi, possiamo anche incappare in altre due avvenenti pubblicazioni: Da solo (2008) e Marinai, profeti e balene (2011); per dire che la musica “Caposseliana” non ha ancora conosciuto significativi momenti di fiacca.

Quest’album si presenta con un artwork molto particolare: un suggestivo bianco e nero che mitizza un groviglio di alberi e sterpi ombrosi, ai piedi dei quali si stende un minuto e polveroso terrapieno. Non c’è nessuna custodia: la confezione è fatta di un cartoncino apribile che rivela altri dettagli del paesaggio citato. All’interno abbiamo invece i due dischi chiusi in altrettante buste porta CD, più un paio di booklet davvero ben curati. Attenzione però: definire Canzoni della Cupa un doppio album è un errore grave. Nella prefazione, Vinicio ci spiega infatti che: “è un disco in due parti, anzi, in due lati. Il lato esposto al sole, il lato che dissecca, che asciuga al vento. Il lato della Polvere. E poi il lato Ombra, il lato lunare, il lato dello sterpo e dei fantasmi…”

Polvere

Il disco delle tabacchine, dei mendicanti, dei manovali, dei braccianti: un mondo arcaico contadino fatto di terra, lavoro e sudore. Un’arsa dimensione tramandata nel presente grazie al patrimonio popolare fatto di storie, proverbi, sonetti e modi di dire, che Vinicio ha saputo magistralmente riadattare, assieme ad una serie di cover scritte negl’anni sessanta da un misconosciuto cantautore pugliese che portava il nome di Matteo Salvatore. Polvere però è anche il disco delle donne, degli adescamenti amorosi, delle serenate dispregiative e del cinismo popolare, con un trapianto sonoro riassumibile in una sola parola: folk! Ampio spazio dunque a violini, percussioni, trombe, fisarmoniche e strumenti a corde. Molti pezzi di questa prima parte sono stati registrati a Cabras in una sessione del 2003, ma è importante dire che la produzione – davvero notevole – non fa minimamente pesare i dodici anni trascorsi prima della seconda e ultima serie d’incisioni, a Calitri, nel 2015.

La chiusura di Polvere – affidata al vagabondaggio notturno di un cantore solitario – fa da prologo a questa seconda parte, quasi fosse un invito a non interrompere l’ascolto, per addentrarsi nel lato oscuro di Canzoni della Cupa.

Ombra

È il disco dei falsi presagi, delle scorrerie dei mulattieri che rubano legna, dei pellegrinaggi notturni in cerca di miracoli. È il disco dove i sacri emblemi (la notte di San Giovanni e la grotta di San Michele arcangelo), sono maggiormente addossati al folclore, piuttosto che alla religione. Ecco perché incapperemo anche in una miriade d’altre creature appartenenti alla mitologia contadina, come il Pumminale – i cui vizi, in questo caso, lo fanno assomigliare più a un porco che a un mannaro –, le Masciare, il Maranchino, la Malaombra, e addirittura il Su Componidori, che a dire il vero non è una figura appartenente al mito, ma al paganesimo popolare: il capo della Sartiglia, una corsa di origine medioevale che si svolge a Oristano, in occasione del carnevale.

Ombra ha un approccio più cantautorale e ovviamente meno tradizionale rispetto a Polvere. Ancora molto spazio alle chitarre, ma il pianoforte di Vinicio tornerà a farsi sentire in più di un punto, specialmente quando si tratterà di costruire i momenti più tenebrosi.

Le canzoni della Cupa sfiorano le cinque stelle, che non raggiungono soltanto per la gravosa assimilazione dei brani – due ore di musica richiedono tempo e pazienza. A conti fatti però, approfitto della libertà “Debaseriana” per spogliarmi della sobrietà recensoria e darvi la mia personalissima opinione, su quello che pubblico e critica ha “spoilerato” sul disco. Quello che avete letto nei paragrafi sovrastanti, è frutto di una decina di giorni d’intensi ascolti che mi lasciano ostentare una certa sicurezza riguardo alla bellezza dell’album. Certo, anche la critica recensoria – quella vera –, riconosce indubbiamente la qualità di questo lavoro; ma lo accoglie tiepidamente nel giudizio finale, fermandosi ad una media di 7/10. A mio parere, una relase diversa e insolita come questa – peraltro di una certa caratura artistica –, va accolta con più affetto. Poco importa se avrà lo stesso il suo momento di gloria quando – attenzione, prendete nota del vaticinio – vincerà la Targa Tenco 2016 come album dell’anno, perché una proposta migliore di questa non potrà mai esistere nel corso dei prossimi sette mesi!

Diffidate infine di quelli che denunciano l’eccessiva lunghezza di Canzoni della Cupa, di quelli che credono che Polvere possa separarsi da Ombra e viceversa: le solite scemenze uscite dai commenti “a caldo” che non hanno, e non avranno mai, seria attendibilità, soprattutto quando si giudica un’opera così profonda e complessa. Lo stesso discorso vale per tutti quelli che hanno osato recensirlo a quarantotto ore dall’uscita, perché addentrarsi seriamente nella Cupa significa "far crescere, seminare...e poi fare la mietitura..."

Federico “Dragonstar” Passarella.

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