Ho scelto questa grotta perché non lontana dall'accampamento Chinook che mi ha ospitato ed addestrato alle pratiche sciamaniche durante tutti questi mesi: non me la sentivo di interrompere il legame con loro, sebbene l'esperienza che sto per intraprendere deve essere affrontata da solo. Inoltre riesco ancora a sentire in lontananza i loro tamburi rituali, le cui pulsazioni si sono ormai da tempo sostituite ai battiti del mio cuore.

Spostate le fronde che bloccano l'apertura inizio a scendere nel freddo ed umido cunicolo sotterraneo: con me solo una piccola torcia ad illuminare i miei passi; dietro di me la luce del sole si allontana sempre di più, e con essa ogni rumore. Via via che scendo abbandono alle mie spalle gli odori del muschio che tappezza le fredde pareti e del terriccio, soffice pavimento, presto sostituito dalla nuda roccia. In poco tempo raggiungo il punto più profondo della grotta, un nido oscuro, asettico, assolutamente lontano dalle interferenze umane eppure così vicino a quelle della Terra. Mi siedo, spengo la piccola torcia, e attendo che il digiuno che mi sono imposto faccia il suo effetto ed alteri le mie percezioni: chi sto aspettando necessita di un'attenzione particolare, non umana, non completamente razionale.

Occhi chiusi, il respiro tranquillo del mio corpo come unico flebile rumore, resto in ascolto non con l'udito ma con la pelle, con le palpebre chiuse, con il viso proteso verso il buio. Le mie guance sono sfiorate da una morbida carezza, accompagnata da un fruscìo rapido, ma questo suono, questo tocco di seta, svanisce presto, non si ferma. Avverto poi in lontananza, da qualche parte della grotta, quasi ci fosse un cunicolo ancora più sotto, uno scalpitare che man mano si avvicina, ma anche questo mi urta quasi con una folata di vento per poi scomparire.

Poi nel buio più totale è come se una luce rischiarasse la parete di fronte a me. Si fa via via più definita la sagoma di una donna, bellissima, nuda, capelli lunghi e neri. Mi guarda, mi fa cenno con la mano di avvicinarmi, ma i suoi occhi brillano in maniera innaturale: non mi alzo, non la seguo, con una fermezza non da me cerco di cancellarla dalla mia mente. La vedo adesso più cattiva, ghignante, e con un sibilo, con delle parole dette tra i denti digrignati (capisco solo "ki-sikil-lil-la-ke") svanisce.

Ormai deluso dalle vane attese faccio per alzarmi e tornarmene sui miei passi quando qualcosa accade: le mie mani sono sfiorate da quello che sembra essere un ramo, dalla consistenza ossea e molto robusto, che si muove. Qualcosa respira sulla mia mano, un muso di animale sembra, e capisco che quello che avevo inizialmente identificato come ramo sono in realtà corna. Avverto calore, gioia, sensazione di fratellanza (per quanto possa capirne io di fratelli, essendo figlio unico), ma è un attimo, e il tutto svanisce. Solo che stavolta, lo so, si tratta di quello che stavo aspettando: la mia fatica è stata premiata. Apro gli occhi, accendo la piccola torcia, e la grotta è come l'avevo lasciata, forse impercettibilmente più calda. Apro lo zaino, mangio qualcosa per rimettermi in forze, poi mi alzo e mi incammino nuovamente verso la luce del sole, risalendo la mia grotta. Sono entrato da solo, esco con un fratello.

Dietro Vouna si nasconde una sola persona, Yianna Bekris di Olympia, Washington. Questa città ha dato i natali in ambito metal a una band particolarmente collegata a questo progetto, i Wolves in the Throne Room, e infatti i fratelli Weaver hanno collaborato con l'artista nella realizzazione di queste cinque tracce, suonando alcuni strumenti o registrando il tutto. Ma il concept, l'idea madre, il songwriting e in generale le briglie di Vouna restano saldamente in mano alla Bekris. Annunciato come disco di lento funeral doom, siamo in realtà più dalle parti di un black/doom molto rarefatto, con largo uso di synth e passaggi acustici, catartico nel suo incedere solenne e rurale, ma anche lacerante quando prendono piede le chitarre (dal suono innegabilmente legato ai fratelli Weaver). ll paragone più diretto può essere fatto con pezzi dei WITTR come "Dea Artio", "Cleansing" o "A Looming Resonance", con i quali Vouna condivide atmofere sciamaniche e andamento ritualistico. All'interno dei pezzi le strutture giocano molto su climax ascendenti e su riff che si assommano gli uni sugli altri: quella che inizialmente può sembrare ripetizione è in realtà funzionale al pathos del pezzo.

Sebbene forse a tratti un po' acerbo il debutto di Vouna è un disco di valore, un progetto che va tenuto d'occhio perché potrebbe regalare in futuro graditissime sorprese. Non siamo ancora ai livelli raggiunti da una Chelsea Wolfe nelle sue ultime produzioni, ma il livello qualitativo è già dannatamente alto.

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