Crescere all'ombra di una band come i Deep Purple non deve essere stato facile per i Warhorse nel primo lustro dei seventies, essendo la stessa capitanata da Nick Simper dopo la sua uscita dai Deep Purple. Sicuramente una band di culto, non certo la band che si trova facilmente sugli scaffali di un negozio generalista.

La loro proposta - volendo etichettarla protremmo azzardare un Hard Progressive - se vogliamo era molto godibile, anche se pagava una certa, diciamo affinità, con i Deep Purple stessi paradossalmente del periodo post Simper - In Rock era già uscito -; ma se vogliamo anche del periodo in cui Simper militava nei Purple, grazie a degli echi tardo-psichedelici che caratterizzavano i Purple prima dell'anno Domini 1970.

Nulla di epocale in soldoni, ma una proposta interessante: "Vulture Blood" entra con un intro d'organo pastorale e molto vintage, ma che presenta anche delle sfumature sinistre le quali spianeranno la strada al pezzo, un Hard molto vicino ai primissimi Black Sabbath e con la voce graffiante di Ashley Holt tipica dell'Hard inglese del periodo: si percepisce subito che si tratta di gente britannica. Molto bello l'intermezzo armonizzato all'unisono tra chitarra e organo, molto neoclassico ma allo stesso tempo non particolarmente originale... All'interno c'è anche un bell'assolo di chitarra che ricorda invece chitarristi americani come John Cipollina o James Gurley dei Big Brother and the Holding Company. Spazio alla seconda traccia "No Chance", solita struttura: intro di organo pastorale che supporta stavolta una ballad mid tempo dai toni apocalittici e nostalgici. Andando avanti si passa a "Solitude", tipica ballata del periodo a tinte psichedelico-malinconiche e dai toni molto oscuri, la quale sembra dare una bella ripassata agli Strawbs del periodo wakemaniano.

Comunque l'album tutto si mantiene su questi livelli: "St. Louis", "Ritual" e "Woman of the Devil" potrebbero trovarsi tranquillamente in uno dei dischi della MK II dei Deep Purple; non è una esagerazione dal punto di vista sonoro. Potrebbero essere scambiati per loro dal punto di vista strutturale e sonoro, anche se poi, andando nello specifico e nel dettaglio, le differenze si sentono eccome.

Comunque è un album molto godibile, suonato senza eccessi, senza pretese, sporco quanto basta, non essenziale ma comunque importante per chi è alla ricerca del culto.

Carico i commenti... con calma