"You're no fun, you're no fun, you're no fun, you're just dumb, you're no fun"
Vedo uomini&donne che si tatuano frasi come "la vita è tutto un equilibrio che vola via, un brivido sopra la follia", "ho fatto segni indelebili sotto pelle che porto nei miei giorni discutibili" e mi chiedo quale sia il disagio mentale che li porti ad iniettarsi l'inchiostro con gli aghi. Inizi col griffarti una spalla o la caviglia con una qualche frase che vorrebbe essere profonda ma in realtà checazzovuoldireboh: da lì a "gli americani ci installano il microchip sotto le chiappe per controllarci!!1!" è un attimo. Così mentre una parte dei nostri conoscenti si convince di poter rendere il mondo un posto migliore condividendo immagini fascistoidi su facebook ed un altra parte diventa quello che i loro nonni avrebbero voluto che diventassero, noi gente dabbene rimaniamo fieri e tronfi nella nostra ignoranza. Ma lo facciamo in maniera consapevole, ed è questo l'importante. Il nostro motto sarà qualcosa di più semplice, tipo "I Wanna Meet Dave Grohl", ma non dobbiamo per forza tatuarcelo sulle chiappe: lì ci abbiamo messo un Topolino con le foglie di ganja sugli occhi. Potremmo però comporlo tra le lattine di birra che abbandoniamo nel pavimento della nostra cameretta (ma la vendono la Pabst Blue Ribbon all'Eurospin all'angolo?) o tra i mozziconi di stroppa che disseminiamo adolescenti ad ogni fermata dell'autobus.
Mentre cavalco depresso verso il quarto di secolo scorgendo all'orizzonte un avvenire che sarà fatto di tanta responsabilità e (presumibilmente) poca soddisfazione, appena i raggi di sole di metà febbraio riscaldano un poco l'inverno mi volgo all'indietro verso quel mondo cazzone, spensierato e teen-ager-fuori-tempo-massimo che non ho conosciuto se non occasionalmente. Life Sux è la summa del pensiero di Nathan Williams: in bilico tra il casino ed il lerciume fini a se stessi (ma consapevoli) dei primi Wavves e la cazzaraggine sconfinata dei secondi, questo EP di sei canzoni ha guadagnato la gloria tra gli aficionados wavvesiani presentando il consueto miscuglio di lo-fi farlocco, pop punk, indie buzzurro. Fa sempre bene regalarsi venti minuti in cui ti convinci di essere quello che pensavi saresti stato a venticinque anni quando ne avevi diciassette: fighissimo, spensierato, tremendamente babbeo e pieno di ragazze/sfiancato dalle droghe leggere. Purtroppo il sogno prima o poi finisce, ma così deve essere. Con la scusa della consapevolezza e dell'ironia distaccata molta gente c'è rimasta sotto: la vedi ora, alla soglia dei trent'anni, seguire le peggiori immondizie televisive (che a parole aborriscono) solo per commentarla sarcasticamente sui social network, alimentando i circuiti che dicono di odiare in un'orrenda spirale d'ipocrisia ed autoreferenzialità. E intanto noi qui, che non sappiamo cosa fare e cosa essere ma che sappiamo benissimo cosa vorremmo fare e cosa avremmo voluto essere.
Questa doveva essere una recensione ZOT! ma mi sono fatto prendere la mano. È proprio vero che la vita fa skifo.
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