E' la bruma che domina questo lavoro. L'atmosfera mesta, volutamente riflessiva, dark e gotica a farle da contraltare con i suoni, talvolta appena accennati, di flauti e mellotron, di chitarre acustiche e violini, di voci tenui e leggere come il vento. Su tutto aleggia un sapore quasi rinascimentale, abilmente miscelato al folk nordico e al progressive sinfonico inglese.

Nonostante l'autore non si dichiarò mai completamente soddisfatto di questo lavoro, tacciandolo più volte di ingenuità e frammentazione, questo disco d'esordio dei norvegesi White Willow dona un tale piacere d'ascolto da non comprendere come sia sconosciuto ai più e relegato ad una ristrettissima cerchia di amatori.

Il group leader, Jacob C. Holm-Lupo, chitarrista e compositore credo si sia fatto delle belle panciate giovanili di Anthony Phillips e King Crimson, ma anche di autori folk locali, dai quali ha attinto una singolare capacità di affascinare con melodie che arrivano dirette, tessute su musiche che possiedono una liricità e un fascino indiscutibilmente appassionante. Qualcuno ha tentato paragoni ai Gryphon dei quali, in effetti, potrebbero rappresentare un moderno approccio.

Ignis Fatuus (fuochi fatui), è un disco dai molteplici aspetti. Quando le dolci voci femminili rotolano sugli arpeggi, sulle note del flauto o sui tristi accordi di mellotron, riescono a scatenare un fascino al quale non si può resistere: è un sogno che inizia, un viaggio tra scure nuvole che ti inumidiscono, come gocce di vapore che si condensano sul viso, ma invece di raffreddare donano un immenso calore al cuore e all'anima.

Non mancano spunti più determinati ed elettrici, forse più vicini al prog sinfonico della terra d'Albione. Allora il suono si carica anche di psichedelia e le chitarre allungano le note, come i violini che ti penetrano in un trip quasi space. E questa è la descrizione delle lunghe "Cryptomenysis" e della conclusiva "John Dees Lament". E' ancora più particolare e a suo modo intrigante, cadere dalle note delle zampogne della porzione conclusiva di "Lord Of Night" alla danza rinascimentale di "Song", gestita in maniera amabile tra flauti dolci, zufoli e chitarrone acustiche con cantato in stile polifonico e prima voce in falsetto, per due minuti di viaggio nel tempo, avvolti in un drappo di finestra, mentre i cavalieri si allontano dalla vista. Come si può comprendere questo è un disco fatto di immagini sonore, dove ad ogni nota salta fuori un ricordo, una sensazione, un quadro, una fotografia. Esemplare la splendida "Ingenting" che ti porta in un salto tra la brughiera sperso in un'atmosfera surreale e romantica. O "The Withering Of The Boughs", forse miglior brano del disco con un crescendo ritmico e di sensazioni che mano a mano diventano chiaramente palpabili, fino all'esplosivo finale.

Credo di non sbagliare nel consigliare caldamente questo disco non solo agli amanti dei generi trattati, ma a più ampio raggio a chi cerca nella musica fascino, personalità e particolarità. Qui ce n'è a iosa.

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