Come in una foresta tropicale, scienziati ed antropologi scandagliano il terreno alla ricerca di quella che è la fossilizzazione dell'essere fisico, allo stesso modo si può rimanere stupefatti dal riscontro auditivo di quello che l'Italia oggi partorisce con ordinaria amministrazione, ovvero (a mio ormai famoso parere) un bel niente di nulla. Sarà perché siamo un popolo abituato ad interpretare direttive, canalizzarle secondo metodologie e commutarle in assuefazioni, o forse sarà anche perché non possediamo più quella verve che tanto ci caratterizzava nel periodo bellico, ma una cosa è certa ed accostabile all'odierno: siamo alla fine di quella che i bambini denominano sognanti come fantasia.
In un clima del genere, in cui l'evoluzione dell'estro viene misurata da glutei festosi e infestanti varietà televisivo, è SCONTATO, che possano presentarsi anomalie, ed una di queste riguarda ovviamente il gruppo al quale dedico con piacere questa recensione: Wolfango.

Pensando a quello che in pochi ricordano come "cantautorato scomodo", mi diletto ad interpretare gli abominevoli collage con cui questo trio affronta la composizione dei propri brani, specie nell'accostamento sound-lyrics che caratterizza eversivamente il loro stile. L'appartenenza a cui mi sento di collegare il sottofondo di ciò che in "Wolfango" (1997!) viene solfeggiato, è plurima e a tratti lodevole. E' questo un album che lascia infatti tanti interrogativi, quasi incertezze mi sento di dire, che portano a domandarsi cosa sarebbe potuto essere del panorama italiano se molte realtà (come questa) non fossero state affossate dai ben più noti cinque gruppettini (sappiamo tutti di chi parlo) che annualmente infestano città e province con promozioni pre-uscita al limite del grottesco, distribuendo spermiche e gratuite risposte senza senso ad un pubblico che altro non aspetta.

Quello che Wolfango è, indubbiamente, rimane riflesso nell'ironia. Esso esprime infatti nelle sue tonalità una miriade di allusioni, frutto di una società tele-dipendente, tele-consumata, tele-disumanizzata. Un vortice mediatico che porta ogni cosa ad assemblare un'immagine della realtà turbata e corroborante, resa passabile da meccanismi che rasentano l'infantilismo con innegabile genialità. Si sente molto in questo apparato catodico-farfugliante, una sorta di esplicitata volontà di rendere chiari certi concetti con il minimo indispensabile. Voci a tratti distorte, testi Ferrettiani/Pagliacceschi, chitarre al limite negativo della melodia, basso a ritmo industriale e percussioni simili a catene di montaggio danno il tocco di classe a quella che pare essere una decisa sperimentazione posta in faccia alla consuetudine. Ma quello che maggiormente mi permette (quelle poche volte che mi capita) di distendere con facilità le mie atrofizzate labbra, accennando un sincero sorriso, è il no-sense che infesta la sovrapposizione di parole e sonorità, un fare intelligente seppur apparentemente insulso, in grado di lasciare in testa qualche cosa a chi si degna del loro ascolto. Un'operazione che trova Dubbiosissimo successo nelle attuali band che credono di aver fondato in Italia la rinascita (mai avvenuta poichè inesistente) dell'attuale(?), rock(?), Italiano(?). Generalmente provo molto fastidio ad ascoltare un testo in italiano in riferimento ai gruppi appena citati, ma con Wolfango questo non accade previa consapevolezza della grande capacità (forse inconscia) di saper rendere teatrale, e quindi simil-vissuto, ciò che questo meriterebbe di essere in tale modo interpretato. Per invogliarVi a capire con mano e sensi quello di cui parlo, vi invito ad ascoltare due loro brani intitolati "Ozio" - "Batman e Robin". Spero di aver reso l'idea, e se così non fosse, rimarranno a voi comunque due pezzi indubbiamente originali che meritano di essere esposti al pubblico, non per promozione, ma per puro, semplice e grato amore per la sperimentazione. Un cliente scomodo nel nostro paese, spesso addirittura condannato a morte.

Carico i commenti... con calma