I Woods sono una buona band pop, ma dopo più di dieci anni di pubblicazioni discografiche pagano inevitabilmente pegno più che a una mancata ispirazione, a quello che è un mancato rinnovamento nelle sonorità delle loro produzioni, peraltro storicamente improntate a schemi molto semplici e che ne hanno sempre costituito il punto di forza. Fa seguito allora una certa stanchezza che è un patrimonio condiviso tra la band e i suoi ascoltatori storici e che in quanto tali hanno seguito i Woods sin dagli esordi e avvertono inevitabile questa sensazione.

Probabilmente da questo punto di vista allora fare una critica di questo disco diventa in qualche modo difficile. Voglio dire, se il loro punto di forza è sempre stato la ripetizione di determinati schemi e per forza di cose in qualche maniera semplici e improntati a un certo pop psichedelico accessibile a tutti, richiedere loro qualche cosa di diverso sembrerebbe allora pretestuoso. Come volere necessariamente esprimere un giudizio negativo sulla band e sul loro ultimo lavoro. Del resto poi i tentativi più sperimentali sono forse le cose nel complesso meno riuscite e questo anche non è casuale perché si tratta evidentemente di qualche cosa che non rientra tra le caratteristiche del gruppo.

In pratica la stanchezza che si sente in questo ultimo disco, 'Love Is Love' (uscito su Woodsist, l'etichetta di Brooklyn fondata dallo stesso Jeremy Earl, vocalist e chitarrista della band), è evidente e in qualche maniera la stessa degli ultimi due lavori e in particolare di un altro disco che definisco come 'irrilevante' come 'City Sun Eater in the River of Light' (2016).

Quanto abbia contato in questa specie di declino l'uscita dal gruppo nel 2013 del bassista Kevin Morby (dedicatosi a una proficua carriera solista) non lo so. La mia sensazione è che non sia stato questo evento in sé a essere una determina rilevante in tal senso e nell'ascolto neppure rintraccio quel tentativo e quei contenuti di natura politica e che sono stati richiamati da Jeremy Earl nella presentazione del disco che si vuole ispirato alla contemporanea fase storica e politica degli Stati Uniti d'America.

Il disco si apre con la title-track 'Love Is Love' una ballata pop-folk nello stile della band oppure dei Pink Mountaintops con richiami alle atmosfere tipiche della west coast e l'uso innovativo dei fiati. La composizione in sé è al solito molto semplice, ma il risultato è in qualche maniera particolare, una specie di pop 'morriconiano' mescolato a ritmi latini e worldbeat. Da questo punto di vista, invero, la canzone che chiude il disco, 'Love Is Love (Sun on Time), una specie di 'reprise' della traccia di apertura, è anche peggio: la sensazione è una di ascoltare una specie di rimando a hit da classifica degli anni ottanta tipo 'Lambada' dei francesi Keoma. Le sonorità calypso anche nell'uso delle chitarre a un certo punto diventano eccessive e fanno rimpiangere quelle che invece potevano essere scelte più minimaliste negli arrangiamenti.

Il resto del disco non è meglio.

'Bleeding Blue' è una ballata folk con appena accennate venature psichedeliche e in cui il gruppo riprende l'utilizzo dei fiati in stile morriconiano già usati nella traccia d'apertura e che fanno culminare la canzone in certe atmosfere di tipo trionfale o comunque da thrilling cinematografico tipo quelle della famosa 'trilogia del dollaro' di Sergio Leone.

'Lost in a Crowd' è una ballata pop-folk che riprende determinate sonorità psichedeliche della west coast degli anni sessanta; 'Spring Is in the Air' una ambiziosa traccia dalla lunghezza superiore ai dieci minuti solo strumentale dove su un substrato di diffusioni sonore riverberate si susseguono esperienze di ispirazione cinematografica. Nel complesso non è neppure tanto male, ma non fa sicuramente gridare al miracolo, non si tratta di niente di particolarmente brillante o innovativo e non basta in sé per salvare e dare un senso compiuto al disco. Che alla fine manca pure di un certo 'collante'.

L'ultima traccia sarebbe 'Hit That Drum', che apparentemente non ha praticamente nulla a che fare con il resto dell'album e che si configura come una canzone dai toni drammatici e dai richiami a certe sonorità tipicamente 'Americana'. Una specie di gospel dove echeggiano fantasmi e dove il cantato e in qualche maniera solenne e allo stesso tempo conciso come la recitazione di un memoriale.

Ci sono troppe cose che non convincono in questo lavoro in definitiva per poterlo considerare un buon disco. Magari dateci pure un ascolto, ma difficilmente ve ne innamorerete e finirete presto per lasciarlo nel dimenticatoio. Così come probabilmente darete (giustamente) ancora una nuova occasione al gruppo quando pubblicherà il suo prossimo disco.

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