Il disco più importante della storia del punk ? No, non è "Never Mind The Bollocks", e neppure "Ramones". E' questo!
Per tutti coloro che già nel 1973 cominciavano a non poterne più degli eccessi del progressive rock, "Tales From Topographic Oceans" fu come un gigantesco drappo rosso agitato davanti a un toro incazzato. Il segnale che si doveva far piazza pulita, prima che fosse troppo tardi e si finisse tutti quanti a girare con tuniche di strass alla Rick Wakeman declamando passi scelti dal Signore degli Anelli.
Se è possibile individuare il momento esatto in cui il prog ha raggiunti il punto di non ritorno, sicuramente deve stare da qualche parte di queste estenuanti, interminabili, abominevoli quattro facciate. Una mappazza indigeribile e indifendibile da qualsiasi punto di vista. In questi beati tempi di revisionismo post-tutto, in cui le contrapposizioni ideologico-musicali sono fuori moda tanto quanto le chitarre a tre manici, posso permettermi di essere indulgente persino con gli Yes, e ammettere che in fondo qualcosa di buono nei primi dischi del gruppo (almeno fino a tutto "Yes Album" e mettiamoci pure qualcosina di "Fragile" e "Close To The Edge") si può anche trovare. Qui no. Qui gli Yes non fanno prigionieri, guidati nel massacro del buon gusto dalla vocina da castrato di Jon Anderson e dalle mitragliate tastieristiche di uno dei più deprimenti pagliacci della storia del rock, il Wakeman di cui dicevo qualche riga fa. Ispirato da un qualche accidente di santone o pensatore mistico (Yogananda Parananda, o forse Benny Hill), Farinelli voce regina srotola una caterva di nonsense che farebbero piegare in due dalle risate, non fossero infilate in 'canzoni' della durata media di venti minuti, con titoli di omerica imbecillità come "La scienza rivelatrice di Dio - Danza dell'alba" o "Gli antichi giganti sotto il sole" o ancora (il mio preferito) "Ritual - Nous sommes su soleil". Tra l'altro: in oltre trent'anni, qualcuno ha scoperto cosa diavolo sono gli "oceani topografici"?
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