Beh mi ero sbagliato, meglio così!
Quando recensii, ormai ben 7 anni orsono "Heaven & Earth" avevo celebrato il de profundis del grande gruppo prog, almeno dal punto di vista creativo e invece no: eccomi qui a scrivere ancora degli Yes a ben 52 anni dall'esordio (si può proprio dire una vita) e del loro ventiduesimo album in studio. Certo della formazione originale non compare ormai più nessuno, infatti anche Steve Howe, produttore di questo album, esordisce nel gruppo solo nel terzo album: il mitico "Yes Album" del 1971; però anche la presente ha elementi di sicuro valore: lo stesso Davison che ha l'ingrato ruolo di "sostituire" Jon Anderson se la cava egregiamente ed ha una tonalità che lo ricorda assai e perciò non altera eccessivamente le sonorità del gruppo, per non parlare poi del veterano Alan White che a partire dal monumentale "Yessongs" fa parte stabile della line up Yes.
"The Quest" esce come doppio vinile e di scorta in due CD, ma perché due se il secondo contiene solo 3 brani che potevano benissimo essere ospitati nel primo? Viene il sospetto che per "premiare" commercialmente lo sforzo di Howe e compagni fosse necessario questo strano rilascio, aspetto che ne penalizza inevitabilmente anche il giudizio, aggravato ancor di più dal costo astronomico della versione blu ray quella certamente più di moda ed in grado di meglio far risaltare la qualità tecnica del prodotto musicale.
Entrando nello specifico l'esordio di "The Quest" è davvero assai incoraggiante pur con il debito poco mal celato al compianto Keith Emerson e alla sua riedizione di "Fanfare for the Common Man" di Aaron Coplan, "The Ice Bridge" è infatti assai trascinante e può tranquillamente andare a far compagnia alla miglior produzione prog. degli anni d'oro! E il bello è che non è un mero fuoco di paglia perché anche il successivo "Dare to Know" ne segue degnamente la scia. Dopo di che il livello scende, scivolando fra l'orecchiabile ed il noioso sovente a causa dell'eccesso lirico del buon Jon Davison forse galvanizzato dall'essere erede di cotanto predecessore; fortunatamente verso la fine c'è il riscatto di "A Living Island" impreziosita dai ricami classici del settantaquatrenne Howe. Per il resto l'ultima fatica degli Yes, figlia del biennio pandemico, non risente affatto del cupo periodo in cui è stata partorita ed è pervasa da una costante serenità e leggerezza esecutiva cui diamo anche merito al bravo Geoff Downes onesto tastierista, di certo non in grado di emulare Rick Wakeman, ma icapace di tener su la baracca assieme a Billy Sherwood "sostituto", si fa per dire, del povero Chris Squire.
Concludo con l'inevitabile plauso alle grafiche di Roger Dean (ma quanti anni avrà?), vero e proprio marchio di fabbrica degli Yes sin dal mitico "Fragile", facendo quindi a buon diritto parte della Storia della Musica. Difficile dare un voto a "The Quest", dovrei non essere influenzato dalla storia degli Yes, cosa che per chi scrive è quasi impossibile visto che è nato e cresciuto musicalmente nel momento del loro massimo successo e che non mi farebbe andare oltre le tre stelle, anche in considerazione di quanto sopra segnalato in sua detrazione. Tuttavia probabilmente qualcosa in più l'album musicalmente vale, di certo è un netto passo avanti rispetto all'ultima produzione del gruppo inglese.
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