Cat Stevens è stato un cantautore eclettico ed originale, un talento precoce, capace di scrivere già da adolescente canzoni come "Portobello Road" e che ha dato il meglio di sé in quattro capolavori come "Mona Bone Jakon", "Tea For The Tillerman", "Teaser And The Firecat" e "Catch Bull At Four"; poi, senza avvisaglie di cedimento, come se nella sua testa si fosse fulminata la lampadina della genialità, la magia svanisce, e dal 1973 al 1978 l'artista di origini cipriote darà alle stampe una sequela di album mediocri, a voler essere gentili. La conversione all'Islam e soprattutto una lontananza dalla pop music occidentale durata quasi trent'anni però sono state una vera e propria ancora di salvezza per Steven Demetre Georgiou: al suo ritorno sulle scene si ripresenta come un artista rinnovato, libero dalle scorie dell'ultimo Cat Stevens. Yusuf è un cantautore semplice, lontano dai fasti di "Lady d'Arbanville", "Sad Lisa" o "Rubylove" ma che non ha perso nulla dal suo talento originario: un album come "Roadsinger" del 2009 ne è la prova tangibile.
"Roadsinger" è il secondo disco dell'era Yusuf dopo il buon "An Other Cup" del 2006, lanciato dal singolo "Heaven (Where True Love Goes)", che sfrutta e rielabora l'unica buona melodia di quel terrificante intruglio sonoro che fu "Foreigner" del 1973, l'album che segnò di fatto l'inizio della fine di Cat Stevens. A "Roadsinger" forse manca un brano di lancio dall'appeal così forte, ma è complessivamente superiore ad "An Other Cup": più essenziale e ricco di contenuti, dal sound acustico e accattivante, senza effetti speciali. La voce con il passare degli anni ha perso la ruvidità dei ruggenti ‘70s, ma è rimasta praticamente identica a com'era, con quell'inconfondibile timbro lievemente rauco. Uno dei tratti distintivi di "Roadsinger" è la continua alternanza di luci e ombre, che si rincorrono in un'affascinante chiaroscuro. L'iniziale "Welcome Home" è l'elemento d'equilibrio in questo gioco di atmosfere: tutto ruota intorno al connubio voce-chitarra acustica in quest'affascinante ballata dall'arrangiamento sobrio ma non povero, arricchita da un bel testo dai toni riflessivi e filosofici, intriso, come del resto tutto l'album di una spiritualità sottile e discreta, mai utilizzata a mo' di vessillo da ostentare (qualcuno da detto Bob Dylan 1979-1981?); simile nella sonorità ma decisamente più diretta è l'accattivante "Everytime I Dream", una pungente critica all'arroganza ed ai pregiudizi dei media occidentali, che per l'intreccio di chitarre vagamente blueasy e l'andamento felpato ed indolente della melodia, accompagnato da una sezione di fiati, ricorda vagamente il Gordon Lightfoot di "Sundown". L'accoppiata "The Rain"-"World O' Darkness" invece è un tuffo nel passato: atmosfere incalzanti, inquiete, arrangiamenti ipnotici e testi apocalittici, le atmosfere tormentate di "Mona Bone Jakon" sono molto più vicine di quanto l'ingannevole scorrere del tempo possa far pensare.
Tra le "luci" del disco, che stemperano un'atmosfera altrimenti un po' troppo sbilanciata su sonorità cupe la più brillante è l'incantevole "Thinking ‘Bout You", una canzone d'amore che parte leggera come una farfalla, per acquisire forza e slancio nel ritornello, sostenuto da orchestrazioni usate con stile e perizia. "To Be What You Must" rispolvera l'attacco di pianoforte di uno dei capolavori del vecchio Cat Stevens, "Sitting", per poi evolversi in maniera del tutto differente, trasformandosi in un inno di grande forza ed impatto, in cui la voce di Yusuf è accompagnata da cori femminili e voci bianche, per poi sfumare in una bella coda orchestrale che, superata la breve "This Glass World", intrisa di una certa psichedelia di donovaniana memoria, introduce alla bellissima titletrack, semplice e limpida, in cui il "Roadsinger" si rivela essere Yusuf medesimo, alla costante ricerca di un punto di riferimento, di un approdo sicuro, di un qualcosa che possa riscaldarlo nella notte, per usare le sua parole. Dopo questo sentito manifesto personale, l'album sfuma lentamente, prima con la dolce ballata acustica "All Kinds Of Roses", poi con la breve e soffusa "Dream On (Until...)", accompagnata dal caldo suono di un sax che sfocia infine nel mistico strumentale "Shamsia", chiusura soffusa, elegante ed enigmatica.
Album come "Roadsinger" ormai sono una rarità: gli artigiani della canzone capaci di sfornare lavori di tale calibro ormai sono rimasti pochi, senza un ricambio generazionale all'altezza, e l'artista precedentemente noto come Cat Stevens è uno di questi: in soli trentuno minuti di musica riesce a condensare tutto quello che è ad oggi il suo universo, la sua visione del mondo ed il suo sound, classico ed esotico, leggero e profondo al tempo stesso e questo ne fa un grande album, un prodotto maturo di un grande artista; pensate all'ultimo Cat Stevens, quello di "Izitso" e "Back To Earth", un artista finito, insipido, incapace di emozionare, perso in arrangiamenti cervellotici ed inconcludenti, senza nerbo, che ha saputo riprendere in mano la sua vita e la sua carriera, tornando ad essere il grande cantautore che conosciamo, e questo gli fa onore.
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