So già che molti penseranno: non c'era bisogno di un altra recensione di "Let There Be Rock", ma anch'io volevo assolutamente recensire quello che considero uno dei più grandi album della storia del rock oltre che il più bello della band insieme ad "Highway To Hell", o quantomeno al secondo posto.
Prima qualche nota storica, nel '76 la band era finalmente partita dopo alcuni rinvii alla conquista dell'Inghilterra e dell'Europa, il tour era programmato insieme alla nuova band di Paul Kossoff, ma la prematura morte dell'ex chitarrista dei Free sconvolse i piani e rinviò nuovamente di qualche giorno il tour. Finalmente partiti gli AC/DC per circa 8 mesi viaggiarono per l'Europa devastando locali e club con la loro furia incontenibile, si raccontano molte leggende a proposito, per esempio delle loro leggendarie performance al "Marquee" dove sgretolarono ogni record di affluenza, si racconta di gente stretta e ammassata che finiva il concerto quasi completamente nuda e sfinita (e la band lo stesso). Suonarono inoltre ai famosi Granada Studios di Manchester 3 settimane prima della leggendaria esibizione dei Sex Pistols.
Proprio la band australiana finì per essere inserita nel calderone dell'ondata punk da pubblico musicisti e riviste specializzate per l'irruenza e l'energia che mettevano negli show e non di meno anche per la loro condotta e per gli "scandalosi" spogliarelli di Angus che procurarono tanti problemi ai 5 al loro ritorno in patria per il "Giant Dose Of Rock N roll", molti show vennero annullati per le campagne stampa negative che parlavano appunto di "atti osceni" e molti minacciavano la band di non farli suonare se gli spogliarelli non fossero cessati.
Ma gli AC/DC volevano cambiare immagine, l'immagine adolescenziale e scandalosa che avevano utilizzato nei loro primi tour aveva fatto il suo tempo e dopo i primi 3 album "High Voltage", "T.N.T." e "Dirty Deeds Done Dirt Cheap" erano pronti per il decisivo salto di qualità che facesse anche cambiare idea all'Atlantic americana che diffidava dal portarli negli USA.
Subito finito il tour prima citato si dedicarono subito anima e corpo al nuovo album che si materizlizzò in poche settimane tra la fine dell'anno corrente e gli inizi del '77, l'album doveva essere una violenta dichiarazione d'intenti. Venne registrato nei soliti Albert Studios di Sidney insieme ai fidi produttori Henry Vanda e soprattutto il sesto AC/DC George Young. Molti gli aneddoti riguardo alle registrazioni: la band si scambiò lo studio con i conterranei Angels che raccontano che ogni volta che poi rientravano per riprendere le proprie session ancora si sentisse e si respirasse l'aura delle sedute precedenti degli AC/DC, i Nostri infatti si scatenavano in sala di registrazione come quasi fosse un concerto.
I fratelli Young volevano che l'album fosse più vero e violento possibile, non persero mai tempo in sovraincisioni o cose simili, la primo take era quello buono, gli AC/DC volevano un album che fosse dannatamente rock n' roll, un rock n' roll scarno e primordiale come le primissime incisoni di Elvis e Little Richard, ma le influenze come sempre spaziarono anche tra il blues e perfino il jazz di John Coltrane.
L'album parte in tromba con "Go Down" e "Dog Eat Dog", 2 brani che infatti ricalcano da subito questo stile, con le chitarre in gran spolvero e più aggressive che mai, ma questi 2 grandi brani non sono niente in confronto a quello che sarebbe diventato il brano più sconvolgente che la band avesse mai proposto fino a quel momento: la titletrack "Let There Be Rock", 6 minuti incredibili devastanti e conditi da un testo d'ispirazione bibblica (ovviamente alla Bon Scott). Questo fu uno dei primi brani ad essere registrati in quelle session, si dice che il registratore fosse vecchio e il nastro stesse per finire e quindi la sfuriata finale fu suonata pensando che il tempo stesse scadendo, ma tenne e "scoppiò" poco dopo la fine della registrazione. Fu da subito un classicissimo e uno dei momenti più intensi dell'album e dei concerti.
Al quarto posto arriva un altro classicone, un altro super pezzo: "Bad Boy Boogie" che prosegue sulla falsa riga dei precedenti, 4 elettrizzanti minuti che ancora lasciano il segno come anche la successiva "Problem Child", inserita nella seconda edizione europea al posto di "Crabsody In Blue". Questo brano venne dedicato simbolicamente dal frontman al piccolo chitarrista nonostante secondo Angus il testo fosse proprio su Bon e sui problemi che aveva avuto con la legge qualche anno prima.
"Overdose" è il brano più lento e forse minore del lavoro, si tratta di un lungo rock blues molto bello ma che paga la minore aggressività rispetto ai precedenti, cmq sempre superlativo.
"Hell Ain't A Bad Place To Be", altro pezzo molto famoso, riprende la formula dei primi pezzi diventando a sua volta un altro classico, ma il meglio deve ancora venire...
Arriva ora il momento dell'ultimo brano, ogni volta che si ascolta un disco l'ultima traccia è quella che ti rimane dentro, quella che ti da l'impressione finale e ti fa tirare le somme, ebbene siamo di fronte alla migliore chiusura possibile ovvero la leggendaria "Whole Lotta Rosie", gli "Angus Angus" urlati dal pubblico appena dopo l'espolsione del riff saranno il momento più esaltante dei loro concerti per i successivi 30 anni. Il testo racconta di una storia avuta da Bon con una mitica rossa australiana qualche anno prima, una grande donna di 1 metro e 80 e molto corpulenta cui il grande cantante non potè resitere.
Questa è solo una delle tante leggende che circolano sulla band, quello che conta è la musica che ci hanno lasciato, quella carica la riproposero su disco almeno fino "For Those Abuot To Rock", ma poi non riuscirono più a replicarsi. Questo "Let There Be Rock" fu forse l'apice di quella carica aggressiva, non è un caso che a quasi 33 anni dall'uscita ancora oggi i 2 brani simbolo sono dei classici live, che rappresentino ancora i momenti più lunghi ed emozionanti dei loro show, anche "Dog Eat Dog", "Bad Boy Boogie", "Problem Child", "Go Down" e "Hell Ain't A Bad Place To Be" sono sempre state riproposte, anche il 30 aprile 78 all'Apollo Theatre di Glasgow per il leggendario album "If You Want Blood".
Questo è forse l'album con più brani riproposti live e quello con i pezzi i più duraturi nel tempo. Il genere non è mai cambiato ma questo non è semplicemente "uno dei soliti album 3 accordi degli AC/DC" come pensa e dice qualche fenomeno, 7 brani su 8 sono diventati classici, l'album è stato il primo a essere pubblicato negli USA, il primo a entrare nella classifica Billboard, il primo nella top 100 inglese, insomma il primo baluardo verso la definitiva consacrazione artistica e commerciale che avverrà 2 anni più tardi con "Highway To Hell" e poi con "Back In Black", ma quelle sono altre storie.
Imprescindibile, tra l'altro l'ultimo con Mark Evans al basso che venne sostituito da Cliff Williams a un mese dalla pubblicazione.
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