“Questo è un sogno di cose oscure e inquietanti”
D.Lynch

Ogni essere umano porta con se delle ossessioni, più o meno velate che si trascina più o meno per tutto l’arco di questa reincarnazione, salvo non affrontare l’origine del disturbo alla fonte. Cosa pressoché impossibile o perlomeno molto difficile se non supportati da strumenti più che appropriati.
David Lynch, le sue ossessioni, le ha esorcizzate diventando un regista cult suo malgrado, ricavandone film che sono veri e propri incubi destabilizzanti che scavano nelle profondità della parte oscura dell’anima che ognuno di noi conserva più o meno consapevolmente. Questo suo esordio “Eraserhaed” (del 1977!) è un vero viaggio nel subconscio del suo creatore e ne racconta l’incubo scaturito da scene e frammenti davvero difficilmente decifrabili e che farebbero la gioia di schiere di psicanalisti di mezzo mondo.

Si narra le gesta di Henry (il regista stesso?) con problemi di vista e dai capelli corvini. Un uomo mentalmente disturbato che mantiene sempre una calma serafica elogiabile a cui, tra le mille cose, gli si stacca la testa dal corpo per planare in una fabbrica di gomme da cancellare. Contemporaneamente, la giovane compagna epilettica Mary, mette al mondo un freak con la faccia somigliante a un incrocio tra una rana e un coniglio e la cui testa, a sua volta, vola nel cielo.
Fin qui l’incipit quasi “razionale” della storia.
Dopo di che… Follia Pura!

Così tra palcoscenici ricavati da parti di automobili, uomini allevatori di polli meccanici, donne che vivono nel termosifone (?) e scene di totale libertà immaginativa, Lynch mette in scena sul grande schermo le sue deliranti ossessioni al limite dell’angoscia, sfiorando momenti di totale spaesamento e dove vengono progressivamente a mancare i canoni estetici e formali di un qualcosa comunemente inteso come “film” per arrivare alla descrizione di un universo surreale metafisico con forti connotati simbolici e visionari raramente raggiunti nelle opere successive.

Lynch stravolge il normale uso della macchina da presa, adotta un inquietante Bianco e Nero figlio dell’espressionismo tedesco di Fritz Lang, deforma la colonna sonora sfiorando il noise e creando effetti di forte contrasto con le tematiche che le immagini suggeriscono, allunga i tempi narrativi e interviene pesantemente sul montaggio.
Un film, per essere chiari, sperimentale al 100%, costato poche migliaia di dollari e che fruttò al regista una vera e propria ossessione manichea per tutta la fase di gestazione durata quasi cinque anni.

C’è una sensazione perenne di disadattamento e una continua e velatra percezione di fastidio insistente che serpeggia in ogni inquadratura, in ogni cambio di scena, perfino nei dialoghi scarni (per fortuna NON doppiati!) e ridotti al minimo per non disturbare l’orgia visiva di cui siamo spettatori/vittime. Un film disturbato/disturbante come pochi, fuori da qualsiasi possibilità di catalogazione, oltre ogni umana comprensione che nemmeno tutti gli psicanalisti del mondo riuscirebbero a codificare in un’unica sentenza/diagnosi se non che "Lynch assolutamente consapevolmente insano di mente”….e per fortuna mi verrebbe da dire!

Capolavoro Cult: o si ama o si odia.

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