La stringo tra le mie dita impedendole di volare via. Una precauzione inutile perché ricorda me stesso, ormai sono trascorsi dieci anni, quando su quella spiaggia sfiorai il coma etilico. E non potrebbe essere altrimenti: la mia mano le è franata addosso, toccandola appena, ed è come se una massa grande come una schiera di case di tre piani le avesse oscurato il cielo cadendo dal nulla con un bang molto grande. Un big bang. La tengo tra le dita, pollice e indice, e in quel momento è come se fossi Dio. Una minima pressione…

Non fatevi ingannare! Queste settanta paginette non sono così sottili e facili: un premio nobel che all’anagrafe fa Albert Camus, (leggetevi tutto quello che ha scritto se potete e non solo “La peste e “Lo straniero“), ci ha sbattuto la testa per un congruo numero di anni con tre versioni. È un libro che appartiene alla categoria degli irrecensibili, ma come al solito il mio scopo non è quello di giudicare un’opera del genere ma cercare di darvi un pizzicotto, buttarvi un po’ di sabbia negli occhi. Incuriosirvi, infastidirvi magari, per farvi muovere le chiappe in direzione della biblioteca o, meglio, della libreria più vicina. Perché sei pidocchiosi euro sono certo che li valga e perché, fidatevi, starebbe proprio bene nel vostro salotto.

Immaginatevi incastrati in uno di quei fottutissimi silenzi che nemmeno le voci di Sam Cooke e Marvin Gaye, ben sparate nelle casse dello stereo, riescono a sciogliere; il glaciale distacco del bipede di sesso opposto sotto forma di un paio di belle gambe completamente allucchettate. Nel linguaggio del corpo, quando gli arti della controparte si incrociano in modo sì netto ed impenetrabile, ciò significa una cosa molto semplice: NO. E così, prima dell'ultimo due di picche da aggiungere alla non parca collezione, hai ancora due/tre minuti: il tempo che abbisogna la testa di lei per vomitare la prima scusa passabile per salutarti con un pudico bacio con morbide labbra di cemento. Ovviamente sulla guancia. Butti un’occhiata alla libreria: in quelle migliaia di pagine ci sarà pur qualcosa. Con un balzo da Tarzan voli velocemente da una liana, hobbies e musica, all’altra, parlando del caldo estivo e della voglia di mare. La porti in nord Africa. In Algeria. Camus ha vissuto proprio lì e così le snoccioli la tua versione di questo libricino sì sottile e potente che hai letto recentemente. Però, pensa lei, l’appartamentino rimane una schifezza, come la macchina, e lui sembra poco affidabile, per non dire peggio, ma legge Camus. Mai letto nulla di questo autore, però l'ho sentito nominare. Un punto interrogativo le si insinua sotto quella bella chioma. Per un attimo mette in dubbio che tu non sia quello che in effetti sei ed il fatto che abbia preso un abbaglio è del tutto secondario. Tanto basta. Un bicchiere, infatti, si è già materializzato sulla sua mano e questa volta "Moondance" di Van Morrison, forse è razzista hai pensato mentre mettevi a nanna Gaye e Cooke, fa il suo porco lavoro. Le gambe e le braccia di lei finalmente non si nascondono reciprocamente, ma si mettono timidamente in mostra.

L’imperatore Caligola è dilaniato dal dolore per la dipartita di Drusilia, sua amante e sorella. Se l’avesse solamente amata, sarebbe bastata un po’ di malinconia per farlo rinsavire e calmare. Il problema è che sente i morsi della carne e gli pare di bruciare. Ha scoperto che le persone a lui care, nonostante sia imperatore, possono morire e che quindi vivere non ha più molto senso. E allora senso, giustizia e vattelapesca verranno eliminati nel suo regno. Deciderà di uscire dall'isolamento nel quale si era rinchiuso inizialmente, facendo preoccupare non poco il Senato, capovolgendo il concetto di bene e di male, istituendo leggi assurde come la condanna a morte indiscriminata. Uccide per il gusto di farlo e si diverte quando sente le paura nella tremula voce della sua prossima vittima. Gode del terrore altrui. Prova rispetto solo in chi coglie la situazione, quella del condannato a morte che attende con distacco la sua ora, e si dimostra indifferente: il suo antagonista Cherea.

E' un insieme di frasi feroci e taglienti quelle che regala Camus al lettore per rendere al meglio l’overdose di potere che si è appropriata dell’imperatore impazzito. Sarcasmo assassino. “Mi sembri di pessimo umore oggi. Non sarà mica perché ho fatto ammazzare tuo figlio?”. Lugubre narcisismo. “Dopo un’esecuzione, sbadiglia e dice molto seriamente: ciò che più ammiro è la mia insensibilità”. Onnipotenza. “Vivo, uccido ed esercito il potere delirante del distruttore, al confronto del quale il potere del creatore non è che una pallida imitazione”.

Nella terza versione che ho letto (1958) appare evidente il segno lasciato impresso dal secondo conflitto mondiale. Nello spietato disegno di morte e terrore instaurato da Caligola è possibile trovare una similitudine con la figura di Hitler. Spero di vedere presto la trasposizione teatrale dell'opera.

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