Che: un’avventura nell’avventura.

Ci sono libri che portano con sé un alone di “mistero e leggenda” che si tramanda per anni.

La storia di questo “Che” illustrato da Alberto ed Enrique Breccia e sceneggiato da Héctor German Oesterheld (ricordiamo, assassinato in Argentina nel 1977 dalla dittatura militare) assomiglia già a un’avventura nell’avventura, un viaggio forsennato tra mille traversie prima di vedere la pubblicazione a più riprese.

Pubblicato in Argentina nel 1968 – il comandante Che Guevara era morto da poco più di un anno – ebbe subito un ottimo successo di pubblico. Dieci anni dopo, con l’avvento del generale J.R. Videla che destituì Isabelita Peròn, le gesta eroiche e la figura leggendaria di Che Guevara (con la sua carica eversiva e idealista) venne bandita e soppressa dal regime militare argentino.

Ricorda Alberto Breccia: «improvvisamente leggere o possedere quel libro divenne rischiosissimo. Tutte le tavole originali e tutte le copie invendute vennero bruciate».

Il primo editore, reo di aver pubblicato l’opera, venne barbaramente ucciso, e stessa sorte toccò al grande Oesterheld in circostanze mai del tutto chiarite.
Lo stesso Alberto Breccia e la sua famiglia furono oggetto di gravi minacce. La storia narra che presi dal terrore di possedere anche una sola copia del fastidioso libro, lo stesso Breccia si sbarazzò di tutte le copie della pubblicazione.

Tutte tranne una.

Una copia che Alberto, in un gesto quasi simbolico, seppellì nel giardino di casa, in onore della “Morte dell’Ideale” dimenticandosene per anni.

Nei lunghi anni che seguirono, i Breccia si svincolarono dalla dittatura espatriando in Spagna e solo allora il vecchio Alberto (sette anni dopo) si ricordò della copia sopravissuta, seppellita nel giardino della sua vecchia casa. Tornò in patria, disseppellì e trafugò rocambolescamente la copia e consegnò il prezioso libro a un editore spagnolo che riuscì a ridar vita a un’opera unica nel suo genere: la biografia a fumetti dell’ultimo grande eroe idealista del XX secolo.

Tavole vibranti e intense, con un bianco e nero sofferto e materico, dal tratto istintivo e selvaggio (come le imprese del personaggio che ritraeva) che difetta forse un po’ nell’eccessiva verbosità della sceneggiatura (siamo però nel 1968!), a tratti troppo tecnicistica e biografica ma che nell’insieme, ci rendono in abbastanza maniera esaustiva le imprese del comandante argentino, assunto ormai a Icona Massima di ogni Rivoluzione, con reportage minuziosi e attenti che ricostruiscono date, anni e curiosità della sua vita.

Strano destino quello di questo libro poi, che venne realizzato quasi in contemporanea con le tavole de “l'Eternauta”, la straordinaria saga (a opera degli stessi autori) di un viaggiatore nel tempo che in un Argentina contemporanea, subisce un’invasione aliena - esplicita metafora della colonizzazione del Sudamerica da parte degli Stati Uniti compresa la barbara occupazione da parte del regime militare dell’intera nazione.

Voglio solo riportarvi il testo di una tavola poetica e struggente, che racchiude la famosa lettera del Che ai figli, prima di tornare a combattere in Congo e che forse lega con un doppio filo rosso, le imprese del Che alla storia del libro stesso:

“Cari Hildita, Aleidita, Camilo, Celia e Ernesto: quando leggerete questa lettera, io non sarò più con voi. Mi ricorderete appena e forse i più piccoli non mi ricorderanno affatto. Vostro padre ha vissuto secondo le sue idee, ha rispettato le sue convinzioni. Crescete come buoni rivoluzionari. Dovrete studiare tanto per padroneggiare la tecnica che permette di dominare la natura. Ricordatevi che la rivoluzione è la cosa più importante e che ognuno di noi, da solo, non vale niente. E soprattutto, siate sempre capaci, nel profondo delle vostre coscienze, di soffrire per qualunque ingiustizia colpisca chiunque in qualsiasi parte del mondo. È questa la migliore qualità di un rivoluzionario. Hasta siempre, figli miei, spero di vedervi ancora. Vi bacio e vi abbraccio, Papà”.

Indimenticabile Che.

Impedibile questo libro.

Davvero.

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