Angelina Mango è una delle artiste più promettenti del panorama musicale italiano e questa affermazione, a mio avviso, difficilmente può essere messa in discussione.

Figlia del mai troppo celebrato Pino Mango e della cantante Laura Valente, Angelina si è distinta fin da subito per il suo innegabile talento e per una cifra stilistica personale, capace di mescolare influenze internazionali (il reggaeton, la musica di Rosalía, etc...) e un tocco mediterraneo garantito non solo dalle sue origini lucane, ma anche dall'amore per Napoli espresso attraverso un uso ricorrente di frasi tratte dal vivace dialetto partenopeo (il singolo "Che t'o dico a fa'" è un buon esempio di questa sua predilezione).

La vittoria a Sanremo con l'ottima "La noia", prodotta dall'onnipresente Dardust, ha creato ulteriori aspettative per il suo esordio solista, pubblicato il 31 maggio di quest'anno e intitolato Poké melodrama (il poké, per chi non lo sapesse, è un piatto unico tipico della cucina hawaiana, consumato soprattutto da chi bada particolarmente alla linea e quindi non dal sottoscritto).

Il piacere che ho provato leggendo la notizia dell'uscita del disco è stato eguagliato da una certa delusione suscitata dall'ascolto dello stesso, perché Poké melodrama, pur contenendo dei momenti apprezzabili, è un album che non mantiene tutte le promesse e delude almento in parte le attese.

Diciamolo subito: Angelina non è una semplice ragazza immagine, ma possiede una formazione che la rende una vera musicista (suona il pianoforte e le percussioni) e soprattutto una cantautrice, anche se assistita da altri nella composizione dei brani.

Un team di produttori di alto livello, formato, tra i vari, dallo stesso Dardust e da Zef (un nome molto noto a chi bazzica la scena hip-hop nostrana), fornisce i tappeti che la accompagnano nel suo viaggio, dalle sonorità talvolta più urbane (è il caso di "Melodrama", di "Crush" o della conclusiva "Another World"), a tratti etniche (difficile non citare la trascinante "Che t'o dico a fa'", con quel ritornello che si pianta inesorabilmente in testa) oppure morbide e vicine alla classica melodia italica (il pianoforte della sospesa "Edmund & Lucy").

Un accenno va fatto anche ai testi, che approfondiscono diversi argomenti: si passa dalle canzoni d'amore a quelle più frivole, senza trascurare pezzi dal taglio intimista, dove la protagonista non ha paura di descrivere le sue incertezze, le sue angosce, evidenziando dubbi e fragilità che accomunano molti giovani della sua generazione.

Gli ingredienti, insomma, sembrerebbero gustosi, ma come già detto in precedenza non tutto fila per il verso giusto.

Nella prima parte troviamo infatti i momenti migliori, quelli in cui la sinergia tra parole, musiche e melodie è sicuramente più riuscita. Inutile perdersi in un soporifero track by track, basti ricordare "La noia", una travolgente cumbia contemporanea dove viene affrontato una tema delicato come quello della depressione, dalla quale, secondo la cantante, può partire una gioiosa e insperata rinascita.

Al centro della scaletta si susseguono tracce molto brevi che sfilano via senza lasciare il segno. Personalmente ho trovato poco azzeccate quelle più lente e melodiche, ad esempio "Edmund & Lucy", rivisitazione strappalacrime del rapporto con il fratello Filippo (coautore del testo) che potrebbe spingere i più insofferenti a skippare con decisione.

Il problema principale di Poké melodrama è proprio l'eterogeneità del suono, caratteristica di alcune uscite attuali che, secondo me, non paga molto. Al contrario, se Angelina avesse scelto una strada e l'avesse percorsa fino in fondo, i risultati sarebbero stati non dico eccellenti, ma senza dubbio migliori.

Non a caso il livello risale verso la fine, grazie al colpo di coda assicurato da "Che t'o dico a fa'", un pezzo fresco che profuma di sole, salsedine e vicoli chiassosi, e da "Another World", reggaeton atmosferico arricchito dalla presenza del rapper VillaBanks.

Sul fronte delle collaborazioni non brillano Bresh in "Diamoci una tregua" e Dani Faiv nella movimentata "Invece sì", mentre mi è parsa riuscita "Uguale a me", duetto con il bravo Marco Mengoni che oscilla tra autotune, sonorità elettroniche internazionali e un ritornello più italiano (che detta così fa un po' Stanis La Rochelle in Boris, ma vabbè...).

Tirando le fila, possiamo dire di essere di fronte a un progetto dignitoso ma imperfetto, dal quale forse si attendevano maggiore coraggio e un sound più omogeneo, frutto del lavoro di un produttore unico e non di una squadra così nutrita.

Certo, dalla sua Angelina ha la giovanissima età e ampi margini di miglioramento, eppure la ricetta di Poké melodrama lascia leggermente insoddisfatti, al pari della nota pietanza hawaiana, dietetica e ricca di ingredienti, ma drammaticamente sconfitta in un confronto con una più appagante teglia di lasagne alla bolognese.

Provare per credere.

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