Potendo applicare al rock l'ingegneria genetica, un qualsiasi ascoltatore pazzo avrebbe la possibilità di sperimentare alcuni fra gli incroci più stravaganti o improbabili. Si può fantasticare su quale incredibile ibrido risulterebbe abbinando Diamanda Galas e Avril Lavigne, oppure Tom Waits e i Take That. Senza spingersi così tanto al limite del blasfemo, la storia del rock si rivela a volte più ardita di quanto si possa pensare: cosa succederebbe ad esempio se si fondesse il "materiale genetico" alla base della musica degli Hawkwind con quello dei Joy Division? In questo caso, la risposta potrebbe essere già pronta e disponibile per ogni ascoltatore, e probabilmente suonerebbe come "Time Captives", brano di apertura di "Journey" di Arthur Brown e i suoi Kingdom Come.

L'inizio di questo album, creazione fra le più singolari della storia del rock, è affidata al pulsare solitario di una drum machine. Già, in quanto, dopo aver litigato con una pletora di batteristi negli anni precedenti (fra cui anche un certo Carl Palmer), per il suo nuovo album Brown prende la radicale decisione di sostituire l'elemento umano con quello puramente elettronico, personalmente programmato e controllato; mossa quantomai felice, in quanto spinge tutta la band in territori squisitamente vetero-elettronici, stranianti e affascinanti. In "Time Captives" entrano poi progressivamente tutti gli altri strumenti, basso e chitarra che insistono scarni su un'unica nota e i sintetizzatori che, dopo un'improvvisa accelerazione centrale che pare una versione elettronica delle urla di Ian Gillan sul finale di "Child in Time", creano la trama del brano vero e proprio, un'escursione gelida e (nel finale) malinconica per gli spazi siderali, dove veramente space-rock e dark sembrano collidere come in un acceleratore di particelle (con tanto di rischio di creazione di buchi neri).

Entriamo,così, in quei territori bizzarri tanto cari ad Arthur Brown fin dai tempi di "Fire" e che ne hanno fatto un anarchico profeta del rock, da cui ci si può aspettare ogni sorpresa, ma anche una coerenza davvero ragguardevole. Piacevoli sono le strumentali "Triangles", valzer spazializato con sopraffini intrecci di chitarra e synth (che anticipano di sicuro i King Crimson degli anni '80), e "Conception", ovvero rock caraibico come si farà forse fra un paio di secoli. "Gypsy" inizia con tratti hard rock, si sposta poi su territori più cosmici (grazie anche all'ottimo uso del mellotron), con un'interpretazione quasi operistica da parte del buon Brown, infine, all'improvviso, subisce un'accelerazione che la porta in atmosfere più minacciose, dove riecheggiano in un contesto fantascientifico e quasi spersonalizzante riff e temi che i Kingdom Come avevano già esplorato nei precedenti album. Si tratta di brani che rimangono impressi, grazie anche all'interpretazione del capitano di quest'avventura, sorta di Peter Hammil o Frank Zappa intenti ad inviare segnali da qualche remota galassia (forse appena a fianco di quella dei "Kosmische Courier" tedeschi): si prenda ad esempio la sceneggiata gotico-interstellare di "Superficial Roadblocks" e l'hard blues futuribile (notevole il lavoro di basso) e in parte improvvisato di "Come Alive". In mezzo, un brano che avrebbe meritato un bel successo commerciale: "Spirit of Joy", dove la musica e la voce di Brown riescono a concretizzare il significato del titolo in tre minuti di synth sibilanti, accordi post-hippy e ritornelli cantabili, una sorta di "Silver Machine" con una spruzzata di misticismo.

Si completa, così, un viaggio musicale (Journey, appunto) fra i più riusciti del rock, un album, che volentieri risuonerebbe dagli speaker dell'hi-fi di bordo della prima astronave in rotta verso Alpha Centauri...

P.S.: l'album in questione è oggi disponibile in versione economica (e può anche capitare, come al sottoscritto, di vederlo inspiegabilmente inserito fra i CD heavy metal...). L'unica parte sacrificata è la bella copertina originale, oggi sostituita (secondo chissà quale oscura motivazione) dalla foto di una rosa.

Carico i commenti... con calma