Il quattro settembre duemiladieci. Quella torma infoiata di vecchi ggiovani nostalgici, con il loro "In fondo Travis spacca i culi" sguainato. La loro scriminante tirata a lucido, vestita a festa. Vans e famigliole come se piovesse. Turisti crestati ad una prima comunione. Che bello non essere come loro. Dio, come mi fanno (facevano) cagare, i blinc centottantadue. Il loro pancroc da balera, il loro arcor da mappaluna, dodici anni fa tentò un primo approccio col sottoscritto. Fortuna che venne "The New America", ed io diventai grande di colpo.

Ben altre, le date di settembre cerchiate sul mio calendario. Parlano di appuntamenti con la Storia, di trentennali passati in sordina, senza seghe e cofanetti di stacippa. Parlano di "The Dissent of Man", il numero Quindici. Senza première con fighe foderate d'oro, solo l'ennesimo dischetto. Semplice. Bello. Sincero.

Già li sento alitare, i troll di turno, "Sì, ma non è mica Saffer!"; "Epperò vuoi mettere Egheinsdegrei?". Vi prego, i capitan ovvio lasciamoli a Fabio Volo e ai social network. Perché quando ti spari il trittico d'apertura sai bene che ogni riferimento a "No Control" non è puramente casuale e dio Brian Baker vola alto come un falco, bando agli assoli fotocopia di "The Gray Race". Che overdose. Che fraseggi con Mr. Hetson.

Rasoiate, rasoiate che però accarezzano, di velluto. Sì, perché il mood di questo numero quindici è un po' così. Non c'è viulenza, neppure nelle (molte, madonna, disco velocissimo) cavalcate (a scanso di equivoci, è un complimento). Aleggia nell'aria un senso di rimpatriata, di tramonti. Di pacche sulle spalle. Di ricordi lontani, irraggiungibili e perfetti, in cui il Male non esiste. Di nostalgia. Ce n'è molta, sì, perché quando ti delizi con la bellissima "Only Rain" non puoi fare a meno di respirare la malinconica ed orgogliosa vitalità di "I Want to Conquer the World", le polifonie di "The Resist Stance" ci rituffano nell'alternative rock di "Recipe for Hate", "What It Is" pulsa marziale sotto la pelle di "The Day The Earth Stalled". Ed è un bene. No, nessuno spazio per minestre riscaldate, i Bad Religion non si autoplagiano. Bensì rifrullano ancora una volta, con perizia tarantiniana, i loro collaudatissimi ingredienti. Gli stessi che hanno inventato gli anni Novanta della West Coast. Perché è vero che i cinque sono un prodotto degli Eighties, sospesi fra Agent Orange, Social Distortion e Adolescents. Così come i loro due migliori lavori. Ma è anche vero che con "Suffer" e "No Control" gli anni Novanta dell'hcm erano già iniziati. E forse già finiti. Tutto il resto è sfumatura, un continuo fade out fino alla fine del Millennio. I Bad Religion sono gli anni Novanta, pochi cazzi. E "The Dissent of Man" è una splendida macchina del tempo, un 1992 commosso e supersonico.

Il disco, come detto, si apre all'insegna della velocità, fra pugnali, bellezze dannate e pioggia, tanta pioggia. Che mortifica e illude. Non c'è spazio per l'ampollosità chitarristica di "New Maps of Hell", qui sono gli oozin aahs a rubare la scena. La chitarra è sì presente, ma nuda nella sua essenzialità naif. Conserva finalmente tutti gli spigoli, tutta l'asprezza del "buona la prima". Anche l'arrangiamento, quindi, è un continuo amhardcord (dio che brutta). Uniche licenze poetiche sono quelle concesse a quella bestiaccia di Brooks Wackerman, dio lo benedica, che, tra un fraseggio jazz ed un controtempo, ci tiene a precisare di non essere Finestone pt. II. Sobrio e preciso nei pezzi più sostenuti, ricorda un po' il Sandin dei tempi d'oro, quello che mitragliava sullo sfondo di "A Perfect Government". Ma tutti fanno la loro porca figura. Perchè Gurewitz è sempre un po' Kerouac e un po' Palahniuk (ed io un suo libro lo comprerei ad occhi chiusi) e Graffin, nonostante sia frigido come Eva Braun, regala sempre linee vocali da urlo. Senza urlare, perfettamente a suo agio a 200 come a 90 bpm. Sì, perché "The Dissent of Man" ci abbandona mormorando, lentamente, scivolando via silenzioso. Brani mid-tempo come "The Pride and the Pallor", "Where the Fun Is" e "I Won't Say Anything", comunque, sono piccoli capolavori che dimostrano come il pancroc non usi solo la corsia di sorpasso ("No Substance", forse, è stato qualcosa di più di un mero passo falso).

Io, comunque, avrei sguinzagliato l'Hetson dei Circle Jerks per un ultimo assalto frontale. Checcazzo, siamo pur sempre kids of the black hole. Mica cattedratici.

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