Una coppia innamorata, una cerimonia nuziale in procinto di essere officiata, con tutto il turbinio di emozioni di cui un evento simile si fa carico, una giovane donna pronta ad accogliere la felicità da quel momento fino alla fine dei suoi giorni e un oscuro presagio, un orribile presentimento che accorre a guastare quello che dovrebbe essere un momento di gioia e serenità, gettando sulla ragazza e sul suo compagno un’ombra di angoscia e preoccupazione. Ombra che si manifesta il giorno stesso delle nozze, quando lo sposo rimane coinvolto in un mortale incidente d’auto, perdendo la vita e gettando la sua vedova in uno stato di tormento e disperazione, punto d’inizio di un doloroso viaggio interiore ed esteriore da cui alla fine uscirà però vittoriosa. Non più la stessa di prima, certo, ma comunque vittoriosa. Queste le premesse del concept intorno a cui si snoda l’ultimo progetto di Natasha Khan, tornata a pubblicare musica con lo pseudonimo di Bat for Lashes ben quattro anni dopo “The Haunted Man” e a neanche un anno di distanza dal progetto Sexwitch (band formata insieme agli inglesi TOY).

Concept che viene sviscerato e analizzato in maniera tutt’altro che banale attraverso liriche ispirate e mai stucchevoli, tra preghiere esoteriche (la sussurata “Widow’s Peak”) e masochistiche lune di miele in solitaria (“Honeymooning Alone”) immerse in atmosfere a metà tra il misticismo tipico del gruppo e un western su cui Tarantino ha imposto pesantemente il suo tocco. Notevoli anche l’interpretazione della Khan, qui al suo apice vocale, e la sua vena compositiva, che le permette di confezionare con facilità un disco incredibilmente coeso e solido, in cui la musica e la storia che l’ha ispirata vanno a braccetto, senza che una soffochi l’altra, in un crescendo emotivo che coinvolge dall’inizio alla fine dell’opera. Certo, ogni tanto si fa sentire la mancanza di qualche pezzo più memorabile, della “Laura” o della “Daniel” di turno, specie nella seconda parte dell’opera, che mette da parte il pop (che fa comunque capolino in “In God’s House” e “Sunday Love”, perfetta dimostrazione di quanto Natasha sia brava a scrivere canzoni a loro modo martellanti) per tuffarsi in un mood contemplativo e dai ritmi dilatati, a metà tra la Joni Mitchell di “Blue” e la Kate Bush di “Aerial”; non che ciò sia necessariamente un difetto, anzi la necessità di ascoltare certi pezzi più volte per comprenderli appieno non fa che aumentarne il valore (“If I Knew” e “I Will Love Again”, in particolare, sono oltremodo notevoli), ma non tutti potrebbero apprezzare.

Ciò non toglie che “The Bride” sia un disco intenso e a suo modo importante, pregevole nel suo insieme e capace di picchi emotivi di grande intensità. Che sia la definiva consacrazione dei Bat for Lashes? Difficile a dirsi, molto probabilmente sì, ma quel che è certo è che il loro ultimo disco, per quanto di ottima fattura, non è il loro capolavoro: quello devono ancora sfornarlo e se la loro crescita artistica continuerà sulla scia seguita finora non tarderà certo ad arrivare.

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