Mi nascondo dietro al mio sorriso, sputo in terra con aria strafottente e di gran passo mi avvio a regolare i conti, ad eruttare tutto il mio odio. Ad urlare tutta la mia vergogna. Sono pronto a farli a pezzi e ad infierire sulla loro memoria. Un tessuto spesso e pungente mi protegge dal tormento del dubbio: la ragione mi spinge ad essere il più crudele possibile. I miei piedi si muovono a ritmi sincopati, prendono direzioni a caso, inciampano. Ci sbatto il muso, e ce lo sbatto forte contro la mia indecisione.    

"The Process of Weeding Out" è il canto del cigno dei gloriosi Black Flag qui in formazione a tre, in quanto il buon vecchio Henry Rollins ormai era stato allontanato dalla band. Band che nel bene e nel male ha sempre incarnato il volere di Greg Ginn che a questo giro decide, un po' a sorpresa (ma neanche troppo), di virare nettamente verso un sound cervellotico, nervoso, quasi virtuosistico, lontanamente jazzistico. E chi li conoscesse solo per "Damaged" sono sicuro rimarrebbe sbalordito.
I pezzi sono quattro, tutti sorretti da una sezione ritmica fantasiosa, pulsante, quanto mai divertente e varia in cui Kira (la bassista più sexy della storia dell'umanità) e Stevenson si guadagnano meritatamente il pane quotidiano (e guai a chi li chiama punkarrusi!).
La protagonista assoluta è però la chitarra di Ginn che viene seviziata, lanciata in cavalcate nevrotiche ai mille all'ora, resa colpevole di assoli paurosamente gracchianti e sbilenchi e che, senza mezzi giri di parole, ci fa godere neanche fosse il Jimi nazionale a suonarsela (vabbè dai, non esageriamo).
Tutto qui ragazzi, è di questo che si tratta. Tutto qui?!?!?! Alla faccia...

Riavutomi dal colpo mi genufletto a raccogliere le idee. La vampa assassina sembra affievolita ma sono ancora confuso e mi schiuma la bocca. Una brezza primaverile mi si insinua sotto pelle (ma da dove mai arriverà?) e un tiepido riverbero mi scalda per un attimo il cuore. Senza rendermene conto mi ritrovo a sghignazzare fino a smascellarmi; e rido, rido, rido fino a perdere tutto il fiato che ho nei polmoni. Mi incammino lentamente nei vicoli dei miei rimorsi giornalieri e non faccio nemmeno in tempo ad asciugarmi l'ennesima lacrima prima di trovare riparo. 

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