Sottovaluto lavoro del Dylan post svolta elettrica: 1967, esce “John Wesley Harding”, contraltare acustico al capolavoro elettrico “Blonde on Blonde”. Poco apprezzato: una marcia indietro? Manco pe’ gnente! Marcia avanti, si cambia, ci si avvia verso il country, che il rock ha stancato.

Si parla di Bibbia, di fuorilegge onesti, di padroni e schiavi, di amici, di poveracci e straccioni, di sogni e visioni di Dylan come solo Dylan sa. Nasce un album in bilico tra l’inutile e il capolavoro, con una certa unità di fondo. La chitarra è suonata spesso con il capotasto al quarto-quinto tasto, accorgimento che dà un suono squillante (fastidioso?), basso, batteria e armonica, anche questa quasi sempre in Mi e Fa, che sono le due tonalità che raggiungono le note più alte nelle blues harp, quindi anche queste squillanti (non fastidiose, finalmente Dylan fa vedere di saper maneggiare l’armonica decentemente).

Grandi canzoni non mancano, ma stavolta nessuna traccia supera i cinque minuti, la media per Dylan, a parte “Frankie Lee and Judas Priest”. Capolavori: su tutti la metaforica e visionaria “All Along the Watchtower”, quattro accordi che non cambieranno mai, e sono ancora quelli al giorno d’oggi, caso unico nelle versioni stravolte che Dylan fornisce delle sue stesse canzoni. Jimi Hendrix ne fece una cover memorabile. Poi “I Dreamed I Saw St. Augustine”, “I Pity The Poor Immigrant” e la meravigliosa “Dear Landlord”. Queste sarebbero bastate per rendere grande qualsiasi album. Ci sono anche tracce più deboli, come la title-track, “Down Along The Cove”, “I’ll Be Your Baby Tonight”… ma sono perdonabili, l’album sta insieme e non delude quasi mai. Ottavo album per Dylan, quarta svolta… e siamo prossimi al contestatissimo “Nashville Skyline”.

Carico i commenti... con calma