Scoprire un disco come l'omonimo della collaborazione tra il duo tedesco Cluster ed il geniale manipolatore inglese Brian Eno è scoprire un nuovo approccio alla musica, qualcosa di sottilmente rivoluzionario. Una rivoluzione non urlata ai quattro venti ma una rivoluzione docile che si è subdolamente protratta per tutta la musica a venire. Una concezione del suono che nella fusione tra le menti degli artefici trova la sua sublimazione.

Lo scopo di questa musica meglio di questa ricerca musicale è andarsi ad installare nel profondo del rapporto tra l'ascoltatore e l'ambiente, una sorta di esperienza esoterica ma al tempo stesso immanente profondamente legata al nostro (dell'ascoltatore) essere al mondo. È un ricongiungersi con lo spazio attraverso una musica che scava nel passato con strumentazioni moderne, una sorta di congiunzione tra tradizione primitiva europea e sensibilità meccanica. Dunque la ripetizione statica e lenta la reiterazione modulata l'utilizzo di effetti come l'eco ed i riverberi i brevi accenni a melodie ancestrali sono mezzi per evocare stati d'animo per creare enormi suggestioni.

Cluster & Eno è una sorta di realismo magico in musica: il minimalismo alla Satie di Mit Simaen, le percussioni inquietanti e thriller di Selange, il proto-dub di Die Bunge, il rumorismo esotico di One o l’ambient cristallina di Fur Luise non sono altro che momentanee epifanie spaziali ricreate attraverso la musica e attraverso ciò che l'ascoltatore della musica decide inconsciamente di trattenere a sé, un'esperienza estremamente personale.

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