Nel 1992 Springsteen fa uscire in contemporanea due album, "Human touch" e "Lucky town", senza incontrare particolare consenso di critica e di pubblico. Lavori fino a oggi ritenuti minori; frutto, si dice, di un periodo di sbandamento (la E street band era stata liquidata e Bruce si era trasferito in California, abbandonando il New Jersey culla del suo sogno americano). In realtà Lucky town è diverso dal compagno, nei temi, nei suoni e anche nei musicisti. Come già il rivalutato Tunnel of love, è un lavoro per la gran parte autobiografico, dai testi intimisti, in contrasto con l'immagine tronfia e populista che di Springsteen hanno i suoi detrattori.

I non appassionati del rocker del New Jersey sostengono che "Nebraska" sia il suo ultimo disco di valore. C'è chi dice che la caccia milionaria di "Born in the USA" abbia confinato Springsteen nel recinto dei dinosauri del mainstream rock. Di solito però i dinosauri in gabbia vendono bene, ma dopo il 1984 Bruce non incassa granché, in ogni caso non cifre tali da ripagare le onerose spese di riscaldamento del recinto di cui sopra. Lo spazio concesso a un dinosauro non è eterno e se non fai buoni dischi alla lunga ti sfrattano, anche se ti chiamano il Boss. Solo che nei quasi trent'anni che ci separano da "Born in the USA" non sembra che la reputazione springsteeniana abbia conosciuto pesanti cadute. Dunque è il caso che anche i critici più intransigenti prendano in considerazione l'ipotesi che ci siano dischi validi anche dopo "Nebraska". Uno fra questi è proprio "Lucky town".

A differenza di Human touch, Lucky town è un disco compatto, scritto in breve tempo e soprattutto non previsto (Springsteen aveva progettato solo il primo), fatto questo che testimonia della sua genuinità. Infatti che bisogno c'era di un altro disco oltre a quello già in preparazione? I malpensanti risponderanno a bomba: ma due album, due entrate, due album uguale doppia spennatura dei fan! Si potrebbe rispondere: siamo sicuri che un dinosauro mainstream fa uscire due album insieme? Non gli conviene di più, da bravo ragioniere “addetto all'artificio”, aggiungere forse un paio di canzoni e il resto tenerselo in serbo per i tempi di magra? No, è assai più verosimile che "Lucky town" sia uscito subito perché è un disco sentito, unitario, con un'unica tematica portante. E questa tematica è la felicità familiare.

Agli inizi dei '90 Springsteen non è più un uomo in fuga, si è sposato con la corista Patti Scialfa e ha avuto un figlio. Se Tunnel of love raccontava il rapporto di coppia dal versante della crisi, "Lucky town" è il disco della felicità vissuta. Better days, il brano d'apertura, è chiaro fin dal titolo, e vi si canta: It's a sad man who's livin' in his own skin / And can't stand the company, è un uomo triste chi vive chiuso in sé stesso e non riesce a sopportare la compagnia. La maggioranza delle canzoni descrive situazioni tipicamente familiari: intimità (If I should fall behind, Leap of faith, Book of dreams, My beautiful reward), paternità (Living proof) e nuova consapevolezza (Better Days e la title track). Le eccezioni sono Souls of the departed, preghiera per le vittime della violenza della guerra e della società (sebbene anche qui ci sia un riferimento all'essere genitori, all'ansia per il proprio figlio in una società simile), The big muddy, brano sconsolato sui piccoli traffici e maneggi cui ognuno si presta (There ain't no one leavin' this world buddy / Without their shirttail dirty / Or their hands bloody) e l'autoironica Local hero.

Da un punto di vista musicale "Lucky town" è sobrio, senza pianoforte né fiati e con tastiere defilate. Senza la E street band, Springsteen fa quasi tutto da solo, suonando chitarre, basso e tastiere (come già in "Tunnel of love"). Non ci sono praticamente arrangiamenti: il risultato è quasi un live in studio. In primo piano c'è la chitarra di Bruce che, anche qui con buona pace dei soliti intenditori che lo spacciano come un rockettaro grossolano, si rivela capace di interventi raffinati (i ricami acustici su If I should fall behind, la slide in The big muddy), nonché, nel brevissimo finale di Souls of the departed, di una sonorità inaspettata, distorta ed effettata.

"Lucky town" è un album che merita un posto di rispetto nella discografia springsteeniana. Contiene If I should fall behind, ormai un classico. Vi si trovano ballate che con pochi tocchi ritraggono efficacemente l'intimità (Book of dreams, My beautiful reward) e riusciti rock springsteeniani come Lucky town, Better days e Leap of faith. Anche l'incedere “paludoso” di The big muddy ben si sposa con l'affondare nel fango di cui si canta nel ritornello. "Lucky town" è stato ed è penalizzato dalla coesistenza col mediocre "Human touch", eppure è un valido disco a tema. E a mio avviso sta proprio qui la causa del suo (attuale) non adeguato riconoscimento: il tema della felicità familiare non ha diritto di cittadinanza nel rock dove, si sa, vengono perlopiù cantati (ed esaltati dagli ascoltatori) solo il tormento e la sregolatezza. Ma in Leap of faith Springsteen dice: Oh heartbreak and despair got nothing but boring.

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